Nella traduzione napoletana della “Langella edizioni” il problema dell’identità si propone netto e al passo con i nostri tempi liquidi.

“Historia de una gaviota y del gato que le enseñó a volar” è un romanzo di Luis Sepúlveda pubblicato nel 1996, in italiano uscì nello stesso anno per i tipi di Guanda con il titolo “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”. Il romanzo dell’autore cileno è un’opera contenitore che hanno suscitato subito l’interesse del grande pubblico per essere una di quelle storie-apologo che raccontano la convivenza tra specie animali – e tra popoli – sotto forma di favola di Esopo.
Due anni dopo il cartoonist cinematografico Enzo D’Alò ne trasse un film di animazione – “La gabbianella e il gatto” – che nel 2019 è stato riproposto. Un anno fa al Teatro Oscar di Milano è andata in scena una riduzione teatrale per bambini della “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare” di e con Federica Sassaroli.
Non meraviglia quindi che un giovane editore partenopeo “Langella edizioni” abbia pubblicato anche una traduzione del testo in lingua napoletana “O cunto d’ ‘a gavina e d’ ‘o gatto ca ‘a mparaie a vvulà (pagg, 144, euro 16)” che già dal titolo richiama la prima edizione originale in lingua spagnola.
L’intrapresa è stata affrontata dal traduttore Claudio Pennino, non nuovo a queste trasposizioni: vanta infatti al suo attivo anche la facitura di un dizionario Italiano-Napoletano/ e Napoletano-Italiano, oltreché un insegnamento al Conservatorio beneventano su “Letteratura e testi in lingua napoletana per musica”. Completano l’opera le tavole disegnate dall’illustratrice pugliese Federica Ferri: luminose, funzionali e pastellate.
Che dire della traduzione di Pennino? L’impressione è che la lingua napoletana utilizzata sia più verace e popolare rispetto a modelli di riferimento più vicini nel tempo come quelli di Roberto D’Ajello. Ma se quest’ultimo aveva come modello per la traduzione il francese de “Il piccolo principe (Franco Di Mauro editore)” Pennino muovendo dallo spagnolo era obbligato ad un canone partenopeo più vicino alla nostra storia barocca pur nella grafia perfetta delle apocopi.
“Ma io nu voglio vulà. E nun voglio essere manco na gavina” dice Furtunata e nell’edizione napoletana il problema dell’identità si propone più netta e forse più al passo con i nostri tempi liquidi.
Vincenzo Aiello ilnapolista © riproduzione riservata