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Perdere non è un dramma. Ma nemmeno pareggiare giocando male lo è

Una sconfitta a Milano ci sta tutta, così come le giornate nì. Ma in questi casi si può anche portare la pagnotta a casa senza dover piacere a tutti i costi

Perdere non è un dramma. Ma nemmeno pareggiare giocando male lo è
Db Milano 04/01/2023 - campionato di calcio serie A / Inter-Napoli / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Luciano Spalletti

La prima cosa che ci viene in mente dopo la sconfitta di Milano è che si può anche perdere. È una banalità, una ovvietà, ma la sconfitta fa parte del gioco. Della partita con l’Inter ha certamente colpito l’approccio decisamente diverso rispetto a quello che avevamo sempre apprezzato. Le cause possono essere tante. La prima partita dopo lo stop di cinquanta giorni. La preparazione atletica ancora approssimativa, del resto facendo le debite proporzioni è come se si fosse giocato ad agosto. Lo scenario completamente stravolto, adesso il Napoli è nettamente favorito. Magari ciascuna di queste cause ha contribuito.

Va ricordato che nonostante la prestazione decisamente sotto tono e nonostante l’avversario fosse di alto livello, il Napoli ha perduto 1-0 (non 3-0) ed è in qualche modo rimasto in partita fino alla fine. Non avrebbe meritato il pareggio – ammesso che nel calcio la parola merito significhi qualcosa – ma avrebbe potuto pareggiare con quel tiro di Raspadori nel finale (l’unico della partita, va detto). E proprio su questo aspetto vorremmo dire qualcosa.

L’idea che si possa giocare sempre bene, che si debba sempre “meritare” la vittoria, è un’idea a nostro avviso fuorviante e castrante. È come se rientrasse nel più ampio di concetto di dover ottenere l’approvazione di qualcuno. Il Napoli nella prima parte di stagione ha dominato in Italia e in Europa, ha goduto di un’immagine molto positiva, persino troppo. Tante volte ha vinto le partite dominandole, a volte ha vinto anche di corto muso, fondamentalmente perché aveva un livello di autostima e di consapevolezza superiore a quello degli avversari. Non hanno torto i milanisti a ricordare che la partita di San Siro contro di loro sarebbe potuta finire diversamente. Il Napoli ha sempre vinto grazie alla propria forza tranquilla, pensiamo a Roma e Lazio ad esempio. All’intima consapevolezza che prima o poi, se fosse capitata l’occasione, il risultato lo avrebbe sbloccato.

Questo è mancato contro l’Inter. O meglio, anche questo è mancato ieri sera. Nello sport non esiste che si giochi sempre al meglio. È un concetto lunare. In tutti gli sport. La differenza la fa riuscire a vincere in giornate in cui non tutto fila per il verso giusto. O, per dirla alla Spalletti, nelle giornate in cui più di qualcuno gioca sotto il proprio livello. In giornate come queste, però, non si subisce il gol che abbiamo subito. Su una situazione, sempre per citare Spalletti, che il Napoli ben conosceva e temeva. Come se la squadra non fosse stata collegata mentalmente. È vero che nel primo tempo l’Inter ha sbagliato almeno (almeno) due gol. Ci sta. Quel che non ci sta è offrirsi all’avversario in quel modo. Quando le cose vanno male, bisogna averne consapevolezza e regolarsi di conseguenza. Non sia mai dovessimo ascoltare quella frase: “noi sappiamo giocare solo in un modo”. Orrore! Equivale all’“io sono fatto così” che tante volte ascoltiamo nella vita quotidiana.

Chi segue lo sport, sa che sono state e saranno infinite le vittorie conquistate da atleti in giorni in cui non si sentivano al meglio. Perché il successo è la risultante di tante componenti. Giocare in un solo modo o voler raggiungere la vittoria in un solo modo, è fortemente limitante. Questo non ci è piaciuto del Napoli di Milano. È profondamente supponente pensare che il Napoli giochi tutte le partite a mille e che quindi in forza del magnifico gioco le vinca tutte. Esistono i troisiani (nel senso di Massimo) cinquanta giorni da orsacchiotto in cui comunque bisogna sfangarla e portare la pagnotta a casa. È la differenza tra chi sente il bisogno dell’approvazione altrui e chi se ne frega. In genere vincono i secondi.

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