Abbagnale: «Da ragazzino ero innamorato del calcio, il canottaggio fu un ripiego»

A La Verità: «Durante la Guerra fredda la politica «usava» lo sport. La rivalità con la Germania dell’Est è durata per tutta la mia carriera» 

Giuseppe Abbagnale

Db Milano 02/07/2015 - Riunione di Giunta del Coni / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Giuseppe Abbagnale

Su La Verità una lunga intervista a Giuseppe Abbagnale. Da capovoga, con il fratello Carmine e il timoniere Di Capua, conquistò, nella specialità «due con», due ori olimpici nel canottaggio, a Los Angeles (1984) e Seul (1988). A ciò si aggiungono 7 titoli mondiali. Ricorda a quanti anni iniziò col canottaggio.

«Le posso anche dire giorno e ora del mio primo allenamento. Ho iniziato il 7 settembre del 1974. Le prime gare sono state nell’anno agonistico 1975, quindi a 15-16 anni».

Al l’inizio quali speranze aveva? Abbagnale:

«Come tanti ragazzini ero innamorato del calcio, il canottaggio è stato anche un ripiego per uscire fuori dalla mia condizione familiare del momento. Quindi, probabilmente, se La Mura mi avesse coinvolto nel gioco delle bocce, l’avrei fatto. Ero appassionato di sport, ma la mia famiglia ne aveva zero dimestichezza, per cui è stato un uscire, forse, da un destino segnato».

Ricorda le Olimpiadi Usa boicottate.

«Periodo travagliato e non edificante. Il boicottaggio fu la ritorsione del blocco dell’Est alla mancata partecipazione del blocco Ovest alle Olimpiadi di Mosca. C’erano la Cortina di ferro e la guerra fredda. Lo sport era utilizzato politicamente. Il blocco dell’Est ne faceva una questione soprattutto politica».

Sulla rivalità con la Germania est:

«Con la Germania Est c’è stata una rivalità durata per tutto l’arco della mia carriera. In quel periodo dominava in
maniera quasi incontrastata il panorama mondiale. A Mosca vinse 7 titoli su 8 e nell’ottavo, in campo maschile, arrivò seconda».

Ci fu un momento in cui temeste che i tedeschi orientali vi raggiungessero? Abbagnale:

«Il nostro avversario più temibile era la Gran Bretagna con Redgrave e Holms, gli unici che ci avevano battuto in quel quadriennio olimpico, esattamente nel 1986. La Germania dell’Est, che superò gli inglesi, fu il terzo incomodo».

Come cambiò la vostra vita da quel momento?

«Non è che sia stata stravolta, certo la popolarità aumentò, ma l’età avanzava, si cercava di affermarsi anche nel lavoro, terminare gli studi, sistemarsi, visto che né io né Carmine volemmo entrare nel corpo militare cercando uno sbocco lavorativo».

Giunsero anche gratificazioni economiche?

«Certamente la Federazione, e anche il Coni, mettevano a disposizione un premio per le medaglie olimpiche, ma non pensiamo a cifre astronomiche che consentissero di vivere di rendita o a un gruzzolo che ti desse sicurezza per la vita futura».

Cosa fa ora Carmine Abbagnale?

«Per qualche anno ha fatto il tecnico allo Stabia, poi il dirigente quando io ho lasciato lo Stabia, e da qualche anno si è ritirato in perfetto relax».

E Peppino Di Capua?

«Peppino oggi lavora ancora alla Telecom perché non ha l’età pensionabile e insieme ai figli gestisce un biscottificio storico famigliare a Castellammare, sono alla terza o quarta generazione».

Come cambiò il canottaggio italiano dopo le vostre vittorie? Abbagnale:

«Il mondo del canottaggio non è cambiato molto. C’è stata un’evoluzione delle barche, prima in legno ora in carbonio, e di altri elementi tecnici. Oggi tutti si rifanno alla nostra tecnica e al nostro modo di remare».

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