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Stakhovsky e Dolgopolov ancora al fronte “tra i corpi in decomposizione”: «Alla morte ci si abitua»

L’Equipe racconta quasi un anno di guerra dei due ex tennisti ucraini: uno in prima linea, l’altro fa l’operatore di droni

Stakhovsky e Dolgopolov ancora al fronte “tra i corpi in decomposizione”: «Alla morte ci si abitua»

Quando cominciò l’aggressione russa in Ucraina, la lista degli atleti al fronte si allungava giorno dopo giorno, e scorsero fiumi di inchiostro. Un anno fa, Sergiy Stakhovsky festeggiava il compleanno a Melbourne, poco prima di giocare l’Australian Open, sarebbe stato l’ultimo torneo professionistico della sua carriera. Tra nove giorni compie 37 anni, e stavolta niente candeline: si trova a Bakhmut, nell’est dell’Ucraina, dove “i corpi in decomposizione che ingombrano le strade, tra facciate distrutte, detriti sparsi, trincee appena scavate e ostacoli anticarro, vestono una cittadina di 70.000 abitanti un tempo nota per i suoi spumanti”. Così la descrive L’Equipe, che a lui e all’altro tennista combattente Dolgopolov dedica un pezzo per ricordarci che no, non è cambiato niente: la guerra c’è ancora e loro sono sempre al fronte.

E’ cambiato, semmai, che “vedere i corpi non ha più importanza per noi. Forza dell’abitudine”, sospira Stakhovsky. “Sfortunatamente, gli esseri umani possono adattarsi a qualsiasi cosa. Quindi ci adattiamo ai bombardamenti. Ci adattiamo alla paura. E ci adattiamo alla morte“.

Stakhovsky sta per tornare in prima linea, lì dove “la Russia invia migliaia di soldati e combattenti del gruppo Wagner, criminali minacciati di esecuzione in caso di diserzione e ai quali viene promessa l’amnistia se sopravvivono sei mesi in Ucraina”.

“La Russia usa i suoi peggiori cittadini quando l’Ucraina perde i suoi migliori”, dice l’ex tennista. A metà dicembre Stakhovsky, pistola puntata contro soldati russi bendati sul retro di un mezzo da trasporto, ha preso parte a uno scambio: “Ventisette figli di puttana per 64 soldati ucraini”. Il 20 ottobre, durante la liberazione del villaggio di Yatskivka (Donbass), un razzo ha colpito il carro armato in cui si muovevano lui e altri soldati. “Posso dire di essere stato fortunato. C’è la distruzione, le vite perdute, il futuro rovinato. La casa di uno polverizzata, la famiglia di un altro massacrata. È difficile. È pura crudeltà. A Bakhmut abbiamo frequentato una scuola che era fantastica, con piscina, campi da calcio e da basket… Tutto è stato portato via dagli attacchi aerei. A kyiv, in alcune zone, non c’è più rete, né elettricità né riscaldamento. Questa non è più la città in cui vivevo. La Russia provoca morte, distruzione e dolore. È uno stato terrorista”.

E così Alex Dolgopolov cerca di farsi scivolare addosso le rovine della sua nativa Ucraina: “All’inizio è stato molto difficile, ma se provi a restare forte, passa. Se ti preoccupi troppo a lungo, finirai in un manicomio”. Ora un operatore di droni in un’unità dell’intelligence militare ucraina. “Raccolgo informazioni, do obiettivi alla nostra artiglieria. Il nemico può essere a 500 metri o a cinque chilometri. Ma sono sicuro che presto avremo missioni in cui ci sarà un contatto diretto. Sono pronto”, dice.

Dolgopolov è stato numero 13 del mondo nel 2012. Il mese scorso – scrive ancora L’Equipe – “viveva in una casa abbandonata in un villaggio carbonizzato, appena dietro le linee del fronte a Kherson, in mezzo ai topi, con un buco per il gabinetto e senza acqua calda. Una vecchia signora, uno dei pochi abitanti a non essere fuggito da questa zona morta, stava dando l’uva ai soldati”.

E mentre la stagione tennistica riparte in Australia con la United Cup a Perth, Brisbane e Sydney, i due ucraini continuano a puntare il dito contro il loro sport: “I tennisti russi sono per lo più silenziosi, neutrali. Quando la guerra finirà e i loro figli chiederanno loro: ‘Cosa avete fatto per evitare che accadesse?’ Non potranno rispondere perché non hanno fatto nulla”, ha detto Stakhovsky il mese scorso a Torino per le Atp Finals.

“Molte organizzazioni scelgono i dollari restando in disparte, fingendo che i russi non abbiano niente a che fare con Putin e nemmeno sanzionando chi sostiene la guerra”, si rammarica Dolgopolov. “La storia giudicherà le loro azioni. La verità è che la maggior parte dei russi sostiene Putin e la sua guerra”.

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