La Sueddeutsche intervista la tennista tedesca Laura Siegemund, laureata in psicologia: «Anche se hai una squadra intorno a te, a volte ti senti completamente solo».

La Sueddeutsche intervista la tennista tedesca Laura Siegemund. Laureata in psicologia, stava per abbandonare la sua carriera professionale per il peso dell’essere atleta. Racconta cosa vuol dire una sconfitta per uno sportivo e come si fa a rialzarsi. La Siegemund è una delle migliori tenniste tedesche. A 12 anni era già una campionessa, questo l’ha fatta soffocare sotto il peso delle aspettative. Ad un certo punto decise di smettere e si mise a studiare psicologia. Ha scritto una tesi sul tema del “fallimento sotto pressione”.
Nel 2020 ha vinto agli US Open in doppio con la russa Vera Svonareva. Recentemente ha pubblicato un libro scritto con lo scienziato sportivo Stefan Brunner: si intitola “Affrontare mentalmente le sfide”. Spiega:
«Il Tennis è in gran parte uno sport di testa. Naturalmente, il fisico, la tecnica, la tattica devono essere addestrati ad un livello estremamente alto, altrimenti anche la più grande forza mentale non ti aiuterà. Ma è la testa ad essere decisiva».
Si può allenare la testa come si fa con il corpo? La Siegemund risponde:
«Sì, si può. Voglio solo dire che questo aspetto è troppo trascurato nella formazione dei talenti. Si allenano le basi, i colpi, la tecnica, mentre gli argomenti mentali non vengono affrontati fino a molto tardi, se non del tutto. Molto spesso, il lavoro sul piano mentale viene svolto solo quando iniziano a emergere difficoltà».
E invece la testa va allenata, come il corpo.
«Il lavoro sulla testa deve essere affrontato professionalmente. La formazione mentale deve avere una struttura, deve essere personalizzata individualmente. È tanto più importante lavorare con un esperto, ad esempio uno psicologo dello sport. Sfortunatamente, questo passaggio è ancora un po’ criticato, il che è incomprensibile per me. Chi lo considera una debolezza quando si lavora nel campo mentale non ha capito bene la propria professione dal mio punto di vista».
Ad essere pericoloso, dichiara, è soprattutto la smania di perfezionismo.
«Bisogna stare attenti che questo impulso non si trasformi in qualcosa di negativo. Che non si è mai soddisfatti di se stessi. Non deve portare a una delusione costante. Questo è il rovescio della medaglia del perfezionismo. Nel tennis, questa è una linea particolarmente sottile, perché si gareggia in modo permanente in un sistema a eliminazione diretta, prima o poi si perde quasi sempre. Anche le persone migliori non vincono tutto, ma perdono più volte all’anno. Il confronto permanente con la sconfitta e il proprio fallimento è tanto più impegnativo per i perfezionisti».
Come si gestisce questo continuo confronto con la sconfitta?
«I perfezionisti spesso si trovano in trappola. Uno psicologo può aiutare ad aprire il proprio sguardo. Ad esempio, dopo le sconfitte, può classificare più fondamentalmente le prestazioni dell’atleta, indipendentemente dal risultato di una partita. Il tennis è uno sport individuale, si gira rapidamente nei pensieri solo intorno a se stessi».
La Siegemund racconta:
«C’è stata una fase in cui giocare a tennis non mi ha reso più felice, ma infelice. Mi ero fermata e mi ero allenata solo perché mi piaceva lo sport. Ho iniziato a dare lezioni di coaching in un club di tennis molto piccolo, a livello amatoriale. Così ho sperimentato come si può vedere il tennis anche da una prospettiva completamente diversa. I giocatori dilettanti avevano in parte idee quasi un po’ ingenue su come fosse il mondo professionale. Ma alcune idee erano vere. Così ho avuto un nuovo sguardo alla mia professione e sono tornata ad apprezzarla. I cambiamenti di prospettiva sono follemente preziosi».
Quindi è vero che le battute d’arresto ti rendono più forte?
«C’è sicuramente qualcosa di vero in questo, nello sport e nella vita. Più invecchi, più capisci che la vita non è una linea retta. La vita è un misto di alti, bassi e molto altro in mezzo. L’arte è godersi il percorso verso gli obiettivi che ci si è prefissati, per quanto possa sembrare piatto. Se vedi ogni curva che devi prendere nella vita come qualcosa di brutto, sicuramente non ti porterà da nessuna parte».
Nel suo libro la Siegemund parla della solitudine dell’atleta. Quanto è solo un professionista del tennis?
«Di una cosa sono sicura: ogni professionista ha già sperimentato una forte solitudine. Anche questo non ha nulla a che fare con i risultati. Questa è la natura dello sport individuale. Anche se hai una squadra intorno a te, a volte ti senti completamente solo. Se tutta la responsabilità ricade solo su te stesso, se nessuno può aiutarti, per esempio».
E’ una sensazione che si prova anche dopo i successi.
«Alla fine, sei sempre umano. Quando le telecamere si spengono e finiscono tutte le interviste, quando arrivi in hotel alla fine la porta si chiude. Ci si trova da soli davanti allo specchio e ci sono momenti in cui ci si sente infinitamente soli. Devi andare d’accordo con te stesso, sia nei momenti buoni che in quelli cattivi».
Come hai imparato ad andare d’accordo con te stesso davanti allo specchio? La Siegemund risponde:
«Non si deve sempre pensare a se stessi solo come un atleta che deve funzionare. Bisogna trovare se stessi, confrontarsi con ciò che ha più significato per se stessi, ciò che dà senso a se stessi nel profondo. E se riesci a farlo, questo ti dà una forza tremenda per superare le situazioni».
Anche le vittorie non sono sempre facili da elaborare.
«Certo, le vittorie sono meravigliose, ma dall’esterno le aspettative possono spostarsi verso l’alto. Se si vince un torneo del Grande Slam, la prossima volta i quarti di finale sono una delusione per alcuni. Ma tu stesso sposti anche le aspettative verso l’alto. Anche dopo le vittorie, devi rimanere in buon equilibrio e con te stesso. Non è così facile».