“I brasiliani hanno assorbito le sue innumerevoli gaffe con una scrollata di spalle. Edson voleva costruire una barriera tra sé e il suo pubblico”

In Brasile a Pelé preferivano Ayrton Senna. Il mondo intero, ogni angolo del globo, piange la leggenda del calcio, ma in Brasile non lo avevano mai amato profondamente, in maniera viscerale. Non come l’Argentina Maradona, per capirci. Il Telegraph ricorda che in un sondaggio del 2014 l’istituto brasiliano Datafolha il pilota di Formula Uno finì per “vincere” la corsa a sportivo più rappresentativo del Paese. Ora che è morto, Pelé, ovviamente le cose andrebbero diversamente. Ma il rapporto con il Brasile è sempre stato “teso”. “Una tensione curiosa”, scrive il giornale inglese.
“L’uomo stesso non era ignaro della sua doppia identità: una volta ritiratosi dal calcio, iniziò a riferirsi a “Pelé” in terza persona, descrivendolo spesso come capace di imprese quasi soprannaturali”.
«I genitori chiedevano a Pelé di visitare i loro figli in ospedale, bambini che si trovavano sulla sedia a rotelle. Andavo a trovarli e… loro tornavano a camminare – ha detto una volta – Bambini che erano nei letti d’ospedale, si rifiutavano di mangiare e di parlare con i loro padri, ma nel momento in cui mi vedevano, cambiavano. Genitori che mi hanno chiamato per dire che i loro figli avevano il cancro e avevano solo un mese di vita, ma quando sono andato a trovarli, non sarebbero morti quel mese e sarebbero addirittura guariti. Queste sono cose che sono successe molte volte e che sono sicuro hanno dimostrato la connessione più stretta tra Pelé e Dio».
“Al contrario – continua il Telegraph – Edson sembrava intenzionato a costruire una barriera tra sé e il suo pubblico. Dalla sua passività nei confronti della dittatura militare omicida del Brasile a una società sportiva che gestiva con l’accusa di aver rubato 450.000 sterline all’Unicef, il suo comportamento lontano dal campo ha raggiunto ciò che inizialmente sembrava impossibile: rovinare la sua immagine d’oro fino a un punto di non ritorno”.
Il punto più basso arrivò quando rifiutò di riconoscere Sandra Regina Arantes come sua figlia. Le ci vollero cinque anni di battaglia legale per ottenere finalmente il diritto di usare il suo cognome nel 1996, ma non ci fu mai un rapporto tra i due. Quando morì di cancro al seno all’età di 42 anni nel 2006, Pelé non andò nemmeno al funerale: Inviò una ghirlanda che fu poi stata restituita dalla sua famiglia. Per il resto della sua vita si rifiutò di parlarne nelle interviste.
“Pelé è una cosa ed Edson è un’altra”, disse Roberto Rivellino. Ed è una cosa che abbiamo letto mille volte anche di Maradona: “Diego e Maradona erano due cose diverse”.
Pelé era così. Quando un operaio morì allo stadio di San Paolo che avrebbe ospitato la partita di apertura dei Mondiali 2014, disse che “era normale e quello che lo preoccupava davvero erano gli aeroporti”. Un anno prima, quando i brasiliani erano scesi in piazza per protestare contro la corruzione, aveva detto che avrebbero dovuto “smetterla e concentrarsi sul calcio”.
I brasiliani assorbivano queste gaffe con una scrollata di spalle, Romario disse che “Pelé è un poeta… quando ha la bocca chiusa”.
Nel 2020 ha scelto il Black Awareness Day per regalare una maglietta autografata al presidente di estrema destra Jair Bolsonaro, lo stesso uomo che una volta disse che i suoi “figli istruiti non sarebbero mai usciti con una donna di colore”.