«I giocatori cercano ossessivamente il loro nome sui social e si convincono di essere al centro del mondo»

Rafaela Pimenta a Tuttosport: «Pogba era convinto che con la terapia conservativa sarebbe rientrato prima. La Juve lo ha lasciato libero di scegliere».

Pogba giocatori pimienta

As Roma 21/05/2016 - finale Coppa Italia / Milan-Juventus / foto Antonello Sammarco/Image Sport nella foto: Paul Pogba

Tuttosport intervista Rafaela Pimenta. Dopo la morte di Mino Raiola è lei che si occupa della gestione della società del super agente. Racconta com’era lavorare con lui.

«Era fantastico. Ci siamo sempre divisi i compiti, ma siamo sempre andati nella stessa direzione. Sono stati anni bellissimi, in cui è cambiato il modo di fare il nostro lavoro e noi ci siamo adeguati».

Come è cambiato il mestiere dell’agente?

«Una volta c’era meno da fare: tutto era imperniato sul calciomercato, sui trasferimenti. Ora c’è la gestione del calciatore a 360 gradi, perché provvedi a ogni dettaglio, dalla crioterapia in casa al fisioterapista personale, dal cuoco al nutrizionista. Bisogna curare i social media e media tradizionali, che una volta avevano meno esigenze di oggi. Non uscivano tremila notizie al giorno, molte delle quali fasulle o quasi. E poi c’è la tutela del giocatore di fronte al bombardamento di amici e parenti: ognuno dei quali vuole proporgli un affare o fare qualche lavoro per lui. Tutte cose che vanno vagliate e valutate, perché a volte possono essere dannose».

Su Pogba e la questione legata al fratello, alle minacce e all’aggressione.

«Un problema non raro fra i calciatori, quello di vivere situazioni di tensione o di ricatto. Vengono minacciati perché sono soggetti molto esposti. Ho visto di tutto, soprattutto ricatti: i giocatori hanno paura a denunciare queste cose perché temono il danno di immagine o si vergognano. Così tacciono e vivono situazioni di stress incredibile, rischiando di compromettere le prestazioni o addirittura di infortunarsi. Tacendo peggiorano la situazione perché un buon agente li può sempre aiutare. Quando Paul finalmente ha deciso di farsi aiutare ha migliorato la situazione e ha capito che c’era una soluzione».

Ora Paul è in mano agli avvocati.

«Quando Paul ha deciso di parlare, le cose si sono avviate verso la soluzione. Succede molto più spesso di quanto voi immaginiate e infatti con Paul abbiamo pensato a un progetto: sviluppare una piattaforma di dialogo e appoggio per la salute mentale di un calciatore, anonimo per dare consigli, perché non sempre i calciatori sono in grado di superare certi problemi».

Pogba e la Juventus.

«Non ho mai sentito Paul parlare male della Juventus, tranne che per due cose. Quando c’era lui andavano in ritiro in un albergo a Leinì e lui si lamentava molto per le dimensioni del letto: troppo corto. Mi diceva sempre: “Mi escono i piedi!”. L’altra cosa era la pasta al pomodoro: “Rafaela, c’è sempre la pasta la pomodoro”. E gli rispondevo: “Sei in Italia! Cosa vuoi mangiare? Riso e fagioli?”. Ma scherzavamo molto su questa cosa e quest’estate era diventato quasi ossessivo».

Come ha interpretato la decisione di non farsi operare?

«La Juventus è stata molto corretta a lasciargli la libertà di decidere, perché il ginocchio è suo. Ora, lui non è un dottore e non lo sono neppure io. Abbiamo sentito molti specialisti, la maggioranza di loro suggeriva l’operazione, alcuni avevano ipotizzato una terapia conservativa. Ovvio che quando tu vorresti evitare l’operazione sei selettivo nell’ascolto e tendi andare retta a quelli che dicono: terapia conservativa… ha provato ed è andata male».

Ma perché non voleva sottoporsi all’intervento?

«Perché era convinto che con la terapia conservativa sarebbe rientrato prima. E lui aveva l’obiettivo di rientrare il prima possibile per mettersi al servizio della squadra. Per fortuna ora è finita. Tornerà presto in campo per la sua Juve».

La Pimenta parla dei social e della loro influenza sul mestiere di procuratore e sui giocatori.

«Un lavoraccio, ma è indispensabile. Un altro difetto dei social media è che i giocatori spesso fanno la ricerca con il loro nome, anche dieci volte al giorno. Questo sapete cosa provoca? Che l’algoritmo inizia a fornire solo contenuti su quell’argomento e improvvisamente i giocatori si convincono di essere al centro del mondo e invece sono solo al centro della bolla che loro stessi hanno creato. Un disastro! In compenso c’è una lato positivo: i social media danno voce ai giocatori che possono esprimere la loro posizione, soprattutto quando sono coinvolti in controversie. Se la sai usare con calma e intelligenza è utile. E poi con messaggi ispirazionali possono aiutare la vita di molte persone per le quali la loro voce ha un peso molto importante. Puoi far passare messaggi di valore sociale».

 

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