Il New York Times: «La dolce vendetta di McEnroe, gli altri hanno vinto di più ma lui è ancora una star»
"McEnroe era già dove il tennis era diretto molto prima del suo arrivo, nel bene e nel male". E' un'icona pop immortale

John McEnroe è un’icona pop. Ha sconfitto i numeri, le statistiche, i record. Trent’anni dopo la sua ultima partita agli Us Open è ancora onnipresente e pervasivo nel mondo del tennis, e non solo. L’irascibile ragazzo del Queens, la famigerata testa calda che si è fatto strada anche imprecando e prendendo a calci l’erba sacra di Wimbledon ha un potere da star immortale. Il New York Times gli dedica un pezzo perché questo “potere di resistenza è una dolce vendetta per l’uomo che gran parte della burocrazia del tennis un tempo considerava tossico per il gioco signorile“.
“McEnroe – sottolinea il Nyt – ha vinto sette titoli del Grande Slam in singolare, molti senza dubbio, ma non quanti Jimmy Connors o Andre Agassi o Ivan Lendl, che ne hanno vinti otto ciascuno, per non parlare degli 11 di Borg, dei 14 di Pete Sampras o di Rafael Nadal e Novak Djokovic, che hanno triplicato il suo bottino. Eppure, McEnroe incombe ancora sui suoi contemporanei, così come Sampras, che ha dominato l’era subito dopo quella di McEnroe. Quando cammina per i terreni dell’U.S.T.A. Billie Jean King National Tennis Center, è ancora il quarterback della squadra di football universitario nella mensa del liceo”.
Mac ha scritto due autobiografie ed è stato oggetto di numerosi libri, e di un lungometraggio nel 2017 sulla sua rivalità con Borg. L’anno successivo è uscito un documentario su di lui. E’ ancora al centro di tutto. Lo chiamano al fianco delle star attuali ad ogni evento, perché di fatto è più attuale di loro.
“McEnroe era già dove il tennis era diretto molto prima del suo arrivo, nel bene e nel male”, scrive ancora il New York Times. Era la fantasia in campo, ma anche “la petulanza e la cattiveria, gli attacchi implacabili agli arbitri di sedia”, cose che “sono diventati parte integrante del gioco moderno”.
“Gli dei del tennis lo hanno benedetto con un talento illimitato. Ma gli hanno anche affidato una mente incline all’angoscia”, che adesso è molto indagata a livello persino terapeutico. “Ciò ha reso McEnroe quel raro personaggio ricordato, persino adorato, non solo per come ha vinto ma anche per come è inciampato e non è stato all’altezza, una narrazione di trionfo e anche un ammonimento”.
“A modo suo, McEnroe è arrivato a tutti noi e arriva ancora”.