L’intervista a L’Equipe: “Ho deciso che manderò i miei figli all’accademia di Nadal, ne ho già parlato con Mirka”
C’è una risposta, nella intervista esclusiva che Roger Federer ha concesso a L’Equipe, che segna decisamente il senso di superiorità sovrannaturale del campione. Il raggiungimento dello stato invincibilità: la sicurezza, mentre stai giocando, che nessuno mai potrà batterti, per nessun motivo. Ecco, a Federer questa cosa è successa “almeno una dozzina di volte”. E non mentre stai giocando il torneo sociale al circolo. A Federer è successo mentre vinceva gli Slam e batteva “miti” come Sampras.
Ne parla quando gli chiedono se la sua partita “perfetta” è stata la finale degli US Open 2004 contro Hewitt, vinta 6-0, 7-6, 6-0:
“Una finale del Grande Slam che inizia e finisce con un 6-0, lo trovo favoloso. Sarà interessante vedere quante volte questo tipo di match si ripeterà in futuro. Di solito, nella finale di un Grande Slam, hai qualcuno davanti a te che ti causa problemi. Inoltre Hewitt, per me, era un problema. È stato davvero in questa partita che wow, mi sentivo come se tutto ciò che stavo facendo, le diverse varianti, fosse incredibile. In quel momento sono diventato numero 1 del mondo”.
Ti capita spesso questo stato di assoluta invincibilità?
“Beh, diciamo una buona dozzina di volte. Ma arrivi in questo stato quando sei davanti al punteggio, quando senti la palla, quando colpisci i dritti sulla linea, in angolo, su un passaggio difficile che provi comunque perché è diventata la normalità sei così sereno… Apprezzo molto di aver vissuto questi momenti in diverse occasioni. Perché è l’ultimo sogno per ogni atleta”.
E’ un’intervista molto lunga, piena di curiosità. Federer confessa che sì, se potesse rigiocare un solo punto della sua carriera sarebbe il match point a Wimbledon nel 2019 contro Novak Djokovic. E racconta che ci sono due o tre momenti momenti che hanno scandito la sua carriera: la vittoria su Pete Sampras nel 2001, una sconfitta col peruviano Luis Horna al primo turno del Roland-Garros nel 2003 (“ho capire come gestire un Grande Slam, come gestire le partite. Smettendo di sottovalutare alcuni giocatori”) e il Masters del 2003:
“Mi ha dato la sicurezza di poter battere i migliori da fondo campo. Avevo Agassi, Nalbandian e Ferrero, ho pensato di provare a batterli da fondo campo e vedere cosa succede. C’è stata questa mega partita all’inizio contro l’Agassi (vittoria 6-7, 6-3, 7-6) e il resto è storia (vittoria finale contro l’Agassi, ancora, in finale). Ma è lì che ho dimostrato a me stesso che potevo giocare contro qualsiasi tipo di giocatore e batterlo al meglio. Ho guadagnato la massima fiducia lì”.
Federer fino al 2010 ha giocato 23 semifinali del Grande Slam di fila.
“Queste sono cifre un po’ anormali per me. Quasi come se fosse diventata una routine, e non lo dico con arroganza. ‘Ecco, ok, un’altra semi, chi vincerà? Vedremo…”. Questo tipo di longevità, stento a credere di averlo raggiunto durante la mia carriera. Quando lo sento, mi colpisce sempre”.
Federer dice un’altra cosa che spiega benissimo come è fatto un vincente: non ci si lamenta.
“A Wimbledon l’anno scorso non c’era UNA domanda in conferenza stampa sul mio ginocchio, che per me è fenomenale! Perché era tutto ciò a cui pensavo! Mesi, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. E alla fine non devo nemmeno spiegarmi sul ginocchio. Ero felice, tra l’altro, ma allo stesso tempo non capivo quello che la gente aveva visto. O nascondo così bene i miei problemi, o le persone non capiscono o non vogliono parlarne perché sono simpatiche. E nel 2013 col mal di schiena è stato lo stesso. Sei giudicato senza sapere. Tu stesso non puoi svelare tutto ma in fondo lo sai: “Se sapessi cosa sto passando in questo momento…” È difficile perché vorresti quasi dire: “Non posso, ho mal di schiena ragazzi!” “OK, allora perché stai giocando?”. Questi sono i momenti che sono felice di non dover più vivere. Ogni volta che dici che stai soffrendo o qualcosa del genere, è “Ah, amico, è un pessimo perdente…”.
Altra curiosità: come è nato il SABR (lo “Sneak Attack By Roger”) nel 2015.
“L’ho fatto così mentre ridevo con Benoît Paire, una volta a Cincinnati (nel 2015), durante un primo allenamento con il jetlag. Severin Lüthi, il suo allenatore voleva che avanzassi più in campo, ecco! E all’improvviso gli dico: “Vuoi dire così?”. E tutto è iniziato da lì. C’era già stato un tentativo in Svizzera in allenamento, se non ricordo male, ma è con Benoît che ha preso forma. Stavo facendo cose pazze, vincenti, tac, ping-pong, da non crederci, ridevamo tutti insieme, dovreste chiederlo a Benoît un giorno. È stato un allenamento completamente rilassato. Arrivi alle 15, la tua partita è alle 20, dopo il tramonto, eravamo soli a centrocampo, è stato magnifico…”.
“Non so nemmeno dove sia stata l’ultima volta che abbiamo giocato contro! Wimbledon 2019? Non mi ricordavo nemmeno. Mi vedo andare in vacanza da lui e mandare i miei figli alla sua accademia. In effetti, ne abbiamo già parlato con Mirka”