Al Guardian: «La migliore punizione per chi insulta, a parte i divieti, sarebbero le lezioni di educazione. Non voglio che l’odio incontri l’odio»
Il Guardian intervista Adama Traoré. Il tema è il razzismo a cui sono sottoposti i giocatori di colore durante le partite di calcio. Un tema molto caro a Traoré. Una conversazione che tocca la politica. A Traoré viene chiesto di commentare l’ascesa della destra populista, non solo in Spagna. Risponde:
“È una realtà. Il razzismo c’è. Ci sono persone razziste che continuano a promuovere l’idea che il fatto che tu abbia un colore della pelle diverso ti renda inferiore”.
Mancano la comprensione, la cultura, l’empatia.
“È difficile per le persone che non hanno sperimentato il razzismo provare empatia. Quindi spieghi, racconti storie, cose che hai visto e sentito, sofferto”.
I genitori di Traoré arrivarono a Barcellona negli anni ’80, provenivano dal Mali. Suo padre lavorava in una fabbrica Nissan. Vivavano a Hospitalet, uno dei quartieri più densamente popolati d’Europa, con una significativa comunità di immigrati.
“Quando ero giovane, andavi nelle discoteche di Barcellona e scoprivi che i neri non potevano entrare. A scuola certe persone che dicevano: ‘I neri, no’. Eri separato, fuori. Commenti come “i neri non hanno un buon odore”, ogni sorta di cose, pregiudizi. Sono spagnolo, mi sento spagnolo e ho una cultura spagnola, ma ho anche la cultura della mia eredità africana attraverso i miei genitori. Per me è più facile capirli ma le persone non ce l’hanno. Le persone sono trascinate da ciò che gli viene detto, o dalla televisione. Se davvero vai in Africa, diciamo, vedi qualcosa di diverso dal modo in cui è “pubblicizzato”, ovvero con immagini di povertà e problemi. Sei un bambino, non lo capisci. Come mai? Perché vengo trattato così? Perché devo sentire ‘scimmia’, ‘negro’, ‘merca nera…’? È una realtà con cui convivi. La prima volta che succede non puoi crederci. È surreale, sai? Cresci, ci convivi: alcuni combattono, altri lasciano che le cose scorrano. I miei genitori dicevano sempre: ‘Devi essere forte, questa è la vita che abbiamo oggi, ma cambierà. Non puoi mai sentirti inferiore’. Mi hanno detto di essere quello che sono, che sono bello. Ma ci sono ragazzi per i quali è un trauma che può schiacciarli, che si sentono brutti, rifiutati, arrivano al punto di provare a cambiare la loro pelle o i loro tratti perché non si sentono accettati”.
Parla della sua esperienza nel calcio.
“L’ho sperimentato nel calcio. Mi facevano i versi della scimmia. Anche mio fratello veniva chiamato in tutti i modi. Il responsabile fu punito e questo è importante. A poco a poco vengono prese misure più rigorose e con il tempo le cose migliorano. Ma dobbiamo ancora lottare”.
Qual è la migliore risposta agli abusi in campo? Andar via?
“In Inghilterra fanno qualcosa di importante: identificare e trovare la persona specifica. Le persone al suo fianco non sono responsabili e non dovrebbero pagare. Ma c’è un momento in cui possono intervenire i capitani, in cui non sono uno ma tanti: andare negli spogliatoi o denunciarlo alla FA. E poi se verranno prese sanzioni contro i club, allora questi agiranno, staranno attenti a chi li frequenta. La migliore punizione per me, a parte i divieti e così via, sarebbero le lezioni. Comprensione, educazione. Perché lo hai fatto? Non sono favorevole all’odio che incontra l’odio. Ci sono persone che pensano ‘questo non riguarda me’ ma questo riguarda tutti: quello che fai colpisce gli altri. Alcune persone che soffrono di razzismo pensano: non protesterò più, perché non si va da nessuna parte. Ne ho incontrati molti così, persone che non lo denunciano nemmeno più”.