“Ce l’hanno solo Juventus, Atalanta e Udinese. Come per il resto, l’Italia è un’anomalia. Si gioca in stadi vecchi che non portano guadagni”

“La casa propria, il mutuo pieno del sudore e del sangue del lavoro ei sogni frustrati della famiglia, erano sempre un segno di prosperità”. Anche nel calcio. “Lo stadio determinava l’identità, le finanze, il luogo e il potere di convocare la parrocchia”. “Ed è stato così in tutto il mondo. Meno in Italia”.
Il problema in Italia è – anche – strutturale – per El Pais. Che nell’analisi di Daniel Verdù affronta uno dei temi principali della “inferiorità” del pallone italiano: “In Serie A solo tre club hanno il proprio campo: Juventus, Atalanta e Udinese. Il resto vive di denaro preso in prestito. I motivi sono vari. Ma fondamentalmente hanno a che fare con l’idiosincrasia burocratica italiana, la corruzione immobiliare, gli ostacoli amministrativi e un vecchio dibattito su cosa dovrebbe essere pubblico o privato. Le conseguenze, ora che si parla tanto di convertire le vecchie bancarelle in centri commerciali, sono enormi”.
El Pais fa l’esempio di Florentino, “un genio che muove le palle dell’abaco”, che “ha fatto i numeri. Il Bernabéu è occupato in media 35 notti all’anno. Il resto (330 giorni) è un lotto chiuso che non contribuisce con un centesimo alla causa e continua a costare una fortuna. Il nuovo stadio, più o meno simile al suo aspetto simile a una stampante, vuole essere il Madison Square Garden spagnolo”. “Costerà quasi 800 milioni di euro. Ma ne genererà, secondo il club, circa 150 in più l’anno. Non importa se la squadra non la riempie ad ogni partita”. E così il Barcellona si arricchirà grazie alla sponsorizzazione del Camp Nou di Spotify.
“L’Italia, come in quasi tutto, è un’anomalia. Squadre come Milan (7 Scudetti e Coppe dei Campioni), Inter o Roma non hanno uno stadio proprio. Capitali mondiali del calcio senza la capacità di rendere redditizia una sede. Giocano tutti su vecchie strutture. Rinnovate, al massimo, per i Mondiali degli anni ’90 in Italia, e di proprietà del Comune”. “Persino rivali di sangue e fuoco come Inter e Milan o Lazio e Roma, sono costrette a condividere un tetto. Succede sempre in una struttura con pista di atletica, vecchia e senza possibilità di guadagno se non con gli abbonamenti in calo dei romantici tifosi”.
“La cultura dell’affitto ha prevalso nel Nord Europa per decenni. Ma anche adesso, con l’inflazione galoppante e il terrore del cambiamento, non resistono alle loro fondamenta ideologiche. Il calcio italiano ha troppi problemi. E anche tanti medici. Ma senza un tetto sarà difficile ripararsi da quello che sta arrivando. Solo tre club di Serie A hanno un proprio stadio, una rarità che spiega parte dei problemi del calcio italiano”.