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Il Napoli a prescindere da Insigne

A Verona Spalletti ha costruito il piano partita partendo dall’esclusione del capitano. Günter aveva annullato Osimhen due volte su due, ieri no

Il Napoli a prescindere da Insigne
Napoli 28/10/2021 - campionato di calcio serie A / Napoli-Bologna / foto Insidefoto/Image Sport nella foto: Lorenzo Insigne

Il Napoli liberato

Verona-Napoli 1-2 è una partita che potrebbe diventare fondamentale per la storia del Napoli. Il risultato, che in ogni caso tiene gli azzurri in lotta scudetto e li proietta in Champions League (visto il pareggio e l’andamento lento dell’Atalanta), c’entra poco con questa considerazione. È un discorso tattico, strategico, di pesi e quindi di potere all’interno dello spogliatoio. Per la prima volta, infatti, Spalletti ha costruito il piano partita partendo dall’esclusione di Lorenzo Insigne.

In questo modo, il tecnico toscano ha liberato il Napoli. Non tanto da Insigne in quanto giocatore sgradito, fuori dal progetto o di scarsa qualità, quanto dalle implicazioni legate alla sua presenza. Dal fatto che il sistema tattico del Napoli finisse inevitabilmente per inclinarsi in direzioni delle sue doti. Che, questo va detto, restano di alto livello. È solo che ormai il Napoli fa troppa fatica a far combaciare le caratteristiche di Insigne con quelle di alcuni calciatori in rosa. Di giocatori che, oggi, incidono e perciò valgono più di lui. E che contro il Verona, viste anche le caratteristiche della squadra di Tudor, dovevano essere azionati in un certo modo.

Ingrandire il campo offensivo

È la solita questione irrisolta che accompagna – anzi: tormenta – il Napoli di Spalletti: gioco di possesso o gioco verticale? Cosa privilegiare, e con quali equilibri tattici? Con Insigne in campo, gli azzurri fanno fatica a praticare un calcio che possa essere anche solo una sintesi di questi due stili. Perché, inevitabilmente, la presenza del capitano determina un certo approccio alla fase di costruzione, che diventa più ragionata e meno diretta quando si passa dalle sue parti, che non può contare su un appoggio a sinistra quando si attacca la profondità.

Per assecondare questa situazione, almeno finora, Spalletti ha cercato di lavorare col bilancino e il cesello, mettendo via via a punto un Napoli con Insigne e non di Insigne. Certo, sarebbe sbagliato ridurre tutto alla presenza/assenza del capitano, ma la sua influenza – tecnico-tattica, prima ancora che politica – era e resta significativa. E ha imposto di volta in volta una rinuncia, o comunque una scelta chiara nella costruzione del piano partita. Ecco, a Verona la scelta è stata diversa. Forse definitiva. Ha sovvertito l’ordine. Spalletti ha deciso di cambiare il Napoli in modo da esaltare altri giocatori. Altri tipi di giocatori: Osimhen, su tutti. Ma anche Anguissa e Lozano, i giocatori che hanno preso il posto di Zielinski e Insigne.

In alto, il Napoli imposta da dietro con Lobotka vertice basso del triangolo e con Anguissa e Fabián nello slot di mezzali; sopra, le posizioni medie nel primo tempo di Verona e Napoli (i gialloblu giocano in dodici per via del cambio forzato tra Bessa e Depaoli).

Nel campetto e negli screen che vedete sopra, si leggono i primi cambiamenti apportati da Spalletti. Innanzitutto, chiaramente, il modulo di gioco: a Verona, il tecnico toscano ha ribaltato il triangolo di centrocampo e ha disposto la sua squadra secondo lo schema 4-3-3 in fase offensiva. In realtà, le posizioni medie mostrano come il sistema scelto per la gara di Verona sia stato un po’ spurio, un po’ sporco, perché Lozano – nominalmente esterno sinistro d’attacco – in realtà ha agito quasi come una seconda punta, supportando Osimhen molto da vicino; Politano, a destra, andava invece ad allargare il campo.

Quest’ultima frase è fondamentale: esattamente come per quella relativa a Politano, tutte le altre scelte di Spalletti sono state fatte per dilatare gli spazi. Per ingrandire il campo offensivo. Tutto questo nasce dallo studio del gioco del Verona, e da un intelligente adattamento: come sappiamo, Tudor chiede alla sua squadra di esasperare il concetto di marcatura a uomo a tutto campo, crea dei veri e propri duelli individuali che durano per tutta la partita. E che hanno una doppia funzione: difensiva, ovviamente, ma anche offensiva, perché il recupero del pallone in alto è la prima fonte di regia per i giocatori gialloblu.

Il classico gioco delle coppie di Tudor e del suo Verona

Per affrontare e mandare in tilt un sistema così aggressivo e ambizioso, Spalletti ha fatto una scelta contro-intuitiva: ha fatto in modo che le marcature a uomo dei giocatori gialloblu, prima tra tutte quella di Günter su Osimhen, dovessero esasperarsi ancor di più, cioè misurandosi in spazi aperti, ampi. In un campo offensivo lungo e largo. Questo obiettivo è stato raggiunto attraverso alcuni meccanismi che, idealmente, non appartengono al Napoli: rinuncia del possesso come principio di gioco fondamentale e come strumento di ordine, controllo difensivo (e infatti a fine partita il dato grezzo dice che il Verona ha tenuto il pallone per il 49% del tempo di gioco); ricorso sistematico al lancio lungo (52 tentativi complessivi); Osimhen centro di gravità assoluto della manovra, con 24 palloni giocati nel primo tempo: una quota superiore a quella di Lozano (23) e Politano (20).

Tutti i palloni giocati da Victor Osimhen. Si vede chiaramente che il centravanti nigeriano ha giocato in maniera diversa dal solito: non ha solo allungato il campo, ma l’ha anche allargato. Oltre il numero, anche la distribuzione geografica dei palloni giocati da Osimhen dice tantissimo sulla gara giocata dal Napoli allo stadio Bentegodi.

In fase offensiva, Spalletti ha disposto i suoi uomini in modo che potesse determinarsi un tre contro tre nella metà campo avversaria, con le coppie Osimhen-Günter, Politano-Ceccherini e Lozano-Sutalo; per cercare di sfruttare questa situazione, ha attirato il pressing (cioè, le marcature alte) dei giocatori dell’Hellas nella propria trequarti difensiva e poi ha risalito il campo con passaggi lunghi, diretti. Cercando soprattutto Osimhen.

Il centravanti nigeriano, piuttosto che attaccare la profondità in maniera continua, è venuto spessissimo a riceverli e a giocarli, questi palloni lanciati dai suoi compagni della difesa e del centrocampo. Secondo Spalletti le sue giocate in certe situazioni non sono state sempre precise e/o ordinate, non a caso la percentuale di successo dei suoi passaggi è la più bassa tra tutti i giocatori scesi in campo al Bentegodi (47%), ma questo meccanismo ha messo in crisi il sistema di Tudor. Ha permesso al Napoli di superare il primo pressing, o comunque di disordinare la fase passiva del Verona, e poi di avere il modo e il tempo per creare un certo numero di occasioni: 7 tiri, di cui 2 in porta, nella prima frazione di gioco; altre 6 conclusioni tentate nella ripresa, di cui 2 nello specchio e una finita sulla traversa – quella di Mário Rui.

Attirare il pressing uomo su uomo del Verona; lanciare Osimhen che accorcia nello spazio lasciato vuoto; cercare una sponda per aprire un nuovo fronte di gioco. Così il Napoli si è conquistato la rimessa laterale che ha portato al gol del vantaggio.

I due gol di Osimhen non sono arrivati a partire da questo meccanismo, ma la strategia tattica pensata e attuata da Spalletti ha permesso al nigeriano di essere il calciatore con il maggior numero di conclusioni tentate, ben 5. Come detto anche dallo stesso tecnico nel postpartita, non è solo una questione di reti segnate e/o di occasioni create: la forza straripante e la grande resistenza di Osimhen gli permettono di tenere occupato – o comunque sotto pressione – un intero pacchetto difensivo. In campo aperto, poi, queste sue doti finiscono per esaltarsi, per diventare incontenibili.

Poco meno di un anno fa, nell’ormai storica Napoli-Verona 1-1 che tolse la Champions agli azzurri, Günter riuscì ad annullare Osimhen applicando la stessa identica marcatura a uomo; pochi mesi fa, in occasione di un altro 1-1 venuto fuori al Maradona, è andata più o meno allo stesso modo. Il fatto che il Napoli e Osimhen siano riusciti a cambiare registro al terzo tentativo è un segnale di importanza capitale. È una dimostrazione di crescita. Da parte di Osimhen, ovviamente. Ma anche da parte di chi allena il Napoli. Di chi prepara le partite. Di chi ha capito che, contro certi avversari, costruire il contesto migliore per Osimhen può essere una scelta efficace. Lo è stata.

Un altro modo di difendere

Il calcio, soprattutto nell’era contemporanea, è un gioco inevitabilmente sequenziale. L’attacco e la difesa sono momenti legati tra loro, si alimentano a vicenda, quindi è inevitabile che i cambiamenti – di uomini, di modulo, di meccanismi – di cui abbiamo parlato finora abbiano imposto delle modifiche impattanti anche in fase passiva. E poi, ricordiamolo sempre, c’è anche l’avversario. C’è una squadra che, nel caso specifico del Verona, aveva e ha un’identità profondissima, un approccio al gioco d’attacco che è inevitabilmente figlio della grande aggressività difensiva. E che, in virtù di tutto questo, andava studiata, rispettata, fermata.

Le posizioni medie di Napoli e Verona in fase difensiva (relative al primo tempo)

È andata proprio in questo modo, sempre grazie alle modifiche di Spalletti. Pur trasformando il 4-2-3-1 di ordinanza in un 4-3-3 spurio, il Napoli ha continuato a difendere con un 4-4-2 asimmetrico, in cui Lozano si è spesso affiancato a Osimhen mentre Fabián Ruiz ha lavorato da mezzo esterno, con un occhio alla zona centrale del campo e una ai giochi sulla fascia da parte degli uomini di Tudor. Si vede chiaramente nel campetto appena sopra, e anche questa è stata una grande intuizione di Spalletti. Basta leggere i numeri di Verona-Napoli e confrontarli con quelli relativi all’intera stagione: la squadra gialloblu ha messo insieme 8 conclusioni complessive, di cui solo una nello specchio della porta; in media, i tiri per match dell’Hellas sono 12,3; quelli che finiscono nello specchio della porta sono 4,3.

Come ha fatto il Napoli a essere così performante in fase passiva? Come ha fatto la squadra di Spalletti a limitare – al di là del brevissimo segmento del gol di Faraoni, frutto di una bellissima azione sulla sinistra di Tameze e Caprari – un avversario con queste caratteristiche? Intanto, ha assecondato il suo nuovo approccio diretto alzando il proprio baricentro e la propria intensità:

Sì, esatto: anche se sembra incredibile, il Napoli ha tenuto un baricentro più alto rispetto a quello del Verona

In un contesto del genere, i giocatori che si sono espressi meglio sono stati Giovanni di Lorenzo e Franck Zambo-Anguissa: il terzino della Nazionale ha messo insieme addirittura 13 eventi difensivi tra contrasti vinti (5), passaggi intercettati (6) e palle spazzate (2); Anguissa è stato meno appariscente dal punto di vista statistico, ma è stato fondamentale per le coperture sulle giocate più pericolose del Verona: i palloni imbucati tra le linee per i due trequartisti.

Una classica azione offensiva del Verona: la palla viene imbucata tra le linee per trovare uno dei due trequartisti, in questo caso Caprari; il Napoli ha difeso sempre in questo modo, alzando uno dei due interni (in questo caso Anguissa) sul portatore di palla mentre Lobotka e l’altra mezzala (in questo caso Fabián) chiudevano su Caprari e Barak. A volte, anche uno dei centrali saliva a supportarli in questa copertura.

Chi pensa al Verona come a una squadra puramente ed esclusivamente difensiva fa un errore di superficialità. Quello di Tudor, esattamente come quello di Juric un anno fa, è un sistema complesso con una fase offensiva sofisticata ed efficace. Che, come detto, si basa sui passaggi sui movimenti tra le linee che coinvolgono i due trequartisti (Barak e Caprari) e ne fanno gli hub della manovra offensiva. Con l’approccio e le spaziature adottati da Spalletti, questo meccanismo è stato limitato in maniera evidente: con Lobotka schermo fisso davanti alla difesa, Anguissa e anche Fabián Ruiz hanno potuto giocare spesso d’anticipo sui giocatori del Verona, aiutati spesso dalle salite di Rrahmani e Koulibaly, che da tempo non vedevamo così aggressivi. Di Lorenzo e Mário Rui seguivano i due quinti di centrocampo, mentre i movimenti in avanti dei braccetti difensivi (soprattutto Ceccherini, ma anche Sutalo) erano seguiti da Lozano e Politano.

Tutte queste scelte di Spalletti hanno pagato. Il Napoli si è espresso benissimo in fase difensiva ed è stato efficace in attacco. Anzi, più che efficace è stato scaltro, intelligente: ha trovato il modo per mettere in difficoltà tattica il Verona e ha colpito nel momento in cui la squadra di Tudor ha pagato la pressione mentale a cui è stata sottoposta. Nella fattispecie: su due rimesse laterali prima delle quali l’attenzione difensiva si è abbassata in maniera fatale. Il gol di Faraoni è arrivato al termine di un’azione in cui i gialloblu hanno dimostrato di essere una squadra vera, difficile da affrontare e da battere. E, in qualche modo, è come se avesse nobilitato ancor di più il successo del nuovo Napoli.

Conclusioni

L’utilizzo dell’aggettivo nuovo non è eccessivo. È riscontrabile nei cambiamenti di Spalletti, in una rivoluzione che in realtà era già stata abbozzata prima dell’emergenza-infortuni, e che è stata riproposta con grande coraggio nel momento più importante. Il Napoli di oggi, semplicemente, è una squadra che deve basarsi su meccanismi diversi rispetto al passato. Su leader tecnici e tattici che hanno un impatto qui e ora, se assecondati dal gioco della squadra, se azionati in un certo modo. Non è un’evidenza tattica, non è un dato empirico, ma si è percepito chiaramente che un Osimhen così centrale, così costantemente coinvolto nel gioco della sua squadra, sia un calciatore più performante nei momenti decisivi. Anche quando è il momento di fare gol. In virtù di questo, e delle sue doti, è dunque giusto che il Napoli si poggi su di lui.

Questo non vuol dire che la squadra di Spalletti non possa o non debba più pensare di giocare in modo da mettere Insigne, Zielinski o il possesso palla al centro del proprio mondo. Anche perché, come abbiamo visto, il Verona era e resta una squadra dall’approccio peculiare, quindi pensare di affrontare l’Udinese – o chi per essa – allo stesso modo sarebbe sbagliato. Il punto, però, è proprio questo: il Napoli deve essere una squadra libera da sovrastrutture, liquida. Deve poter e saper cambiare abito a ogni partita. A Verona ha indossato quello giusto, e ha vinto. C’è il rischio che, andando avanti in questo modo, possa indossare quello sbagliato? Certo. È già successo. Ma averne tanti a disposizione, e mettersi nelle condizioni di indossarli, provandoli, senza autoimporsi dei limiti, è l’unico modo per poter capire qual è quello giusto. Dopo Verona-Napoli abbiamo qualche indizio in più.

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