Fu un successo di Mancini, e basta. Il movimento era ed è decadente. E quell’idea di calcio orizzontale non ha portato a nulla
La trionfale notte di Wembley risale appena a qualche mese fa, anche se adesso, forse pure giustamente, sembra passata un’era geologica. È bene non dimenticarlo, ci mancherebbe. Eppure la nefasta, tragica, incommentabile serata di ieri – in pendant con l’Italia a cui in realtà assistiamo da settembre – ha definitivamente svelato il segreto di Pulcinella: dietro quel successo, che fu un successo di Mancini e probabilmente solo di Mancini, non c’era nulla. Il ct aveva avuto il merito – e non glielo si dovrebbe togliere – di aver ricostruito una squadra, perché l’Italia di Mancini è stata una squadra godibile. Il problema è che dietro la squadra non c’era nulla, ma nulla di nulla. E dunque appena la squadra ha perso smalto, per diversi motivi, il movimento s’è nuovamente rivelato per quello che è: un movimento decadente. Che adesso proporrà – non c’è modo di pensare il contrario – la solita soluzione tappabuchi, la solita rivoluzione gattopardiana.
Se la squadra ha perso smalto, però, per rimanere esclusivamente al campo, qualche motivo c’è. E andrà pur ricercato. Perché la Nazionale degli ultimi due anni e mezzo, esclusi questi sei mesi, qualche punto di forza ce l’avrà pure avuto, altrimenti non avrebbe fatto una striscia di imbattibilità di trentasette partite, che s’è interrotta solo ad ottobre. Va detto con la dovuta onestà intellettuale, senza cadere nel tornado dei commenti da bar in base a cui sei mesi fa Mancini era il miglior allenatore del mondo ed oggi è un emerito cretino. E attenzione, perché non ce la caviamo con la retorica del gruppo: disse bene Mbappé quando dichiarò che una squadra di calcio non è un gruppo di amici. Una squadra di calcio funziona se i professionisti sono di livello, se sta bene in campo, se è in grado di trovare delle alternative, di adattarsi alla partita. Ecco: fino a un certo punto, nascondendo le macerie di un sistema che è in caduta libera da oltre dieci anni, la Nazionale italiana l’aveva fatto. E non perché i calciatori cantavano la canzone delle polpette e delle cotolette. Ma piuttosto perché c’era una squadra, una squadra vera. Perché c’era un portiere in rampa di lancio, che adesso vive un momento di difficoltà. Perché c’era una difesa con delle certezze granitiche, ma le carte d’identità suggerivano che sarebbe durata poco. E poi perché c’erano dei principi tattici, nella fase offensiva, che fondamentalmente funzionavano. Mancini sapeva di non avere a disposizione Roberto Baggio e costruì un’identità collettiva riconoscibile. Lo scrivemmo, ben prima dell’Europeo, palesando pure i rischi di un certo tipo di calcio, che a Napoli conosciamo molto bene. Era giugno del 2021.
«Nel bugiardino del tic e toc – come lo definì Capello – ci sono tutta una serie di effetti collaterali. Il rischio più grave, quello che a volte può comportare stati d’ansia patologici (o almeno una punta di noia), è quello di trovarsi, specie contro squadre ben organizzate, chiuse e forti fisicamente (e quindi anche in grado di pressare per novanta minuti, come l’Austria) a passarsi la palla l’un l’altro sulla trequarti avversaria senza riuscire a sbloccare la partita né a costruire vere e proprie palle gol, se non con tiri da fuori o calci piazzati»
Al rischio di fare centomila passaggetti inutili, laterali o all’indietro, il ct provò a sopperire, durante l’Europeo, facendo ricorso agli strappi di due calciatori: Chiesa e Spinazzola. Che non sono Mbappé e Cancelo, non si tratta di calciatori fenomenali (il livello del nostro calcio purtroppo è noto). Però erano gli unici calciatori che tentavano di variarlo, lo spartito. Che provavano a saltare l’uomo, a creare la superiorità numerica. E che nel caso di Chiesa ogni tanto, a tempo perso, provavano pure a tirare in porta, una roba che nel gioco del calcio – perfino nel tic e toc – continua ad essere indispensabile. Insomma, erano calciatori che riuscivano a dare verticalità a una squadra che qualche avvisaglia della tendenza a sedersi nella comodità del suo palleggio sterile la dava già. Ieri, ad esempio, l’uomo non lo saltava nessuno. Ed ecco che venuto meno Spinazzola e venuto meno Chiesa è venuta meno la verticalità. E l’Italia ha cominciato a specchiarsi. Diciamo che ha avuto le medie dell’Insigne di questa stagione, un gol ogni cinquantacinque-cinquantasei tentativi. E un modo di giocare superato. I risultati, purtroppo, sono sotto gli occhi di tutti: una squadra che aveva emozionato ha smesso di emozionare. E se sotto la squadra – pure se buona – ci sono le macerie, arriva un momento in cui le macerie si svelano. La verità, in fin dei conti, viene sempre a galla.