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Mika: «Il Covid mi ha dato la possibilità di “guarire”. 15 anni di vita pubblica fottono la mente»

A La Repubblica: «A scuola avevo un’insegnante violenta. Il cervello si spense un po’ alla volta. Prima ero brillante, diventai un idiota»

Mika: «Il Covid mi ha dato la possibilità di “guarire”. 15 anni di vita pubblica fottono la mente»

La Repubblica intervista Mika. A settembre sarà protagonista di un tour in Italia. Dal 10 al 14 maggio presenterà
l’Eurovision Son Contest a Torino.

«Il Covid mi ha dato la possibilità non solo di essere presente quando mia madre stava morendo, ma anche in qualche modo di… guarire. Questa idea della guarigione del cervello è quasi un tabù. Ho avuto l’opportunità di sistemare il mio cervello. O di lasciare che si sistemasse da solo. Quindici anni di vita pubblica fottono la mente. Il successo, il fallimento, l’arte, l’egoismo… Lavoro da quando avevo otto anni».

Racconta com’era da ragazzino.

«Mi buttarono fuori da scuola perché ero un disastro, allora mia madre mi disse: “Ok, lavorerai e imparerai dalla vita”. Pochi mesi dopo cantavo alla Royal Opera di Londra nell’opera di Strauss La donna senza ombra. È ripartito tutto così dopo che per sette-otto mesi avevo dimenticato come leggere e scrivere».

Per un trauma?

«Sì, una storia complicata. Ci eravamo trasferiti dalla Francia in Inghilterra, mio padre era stato preso come ostaggio nella prima guerra del Golfo e quando tornò era diverso. Perdemmo tutto. E poi a scuola avevo un’insegnante violenta, psicologicamente e fisicamente. Il cervello si spense un po’ alla volta. Prima ero brillante, diventai un idiota».

Gli chiedono se sia stato giusto escludere la Russia dall’Eurocontest.

«Non avevano scelta, considerando quello che sta succedendo. In una situazione estrema una decisione andava presa. Ci sarà tutta l’Europa, delegazioni di tutti i paesi, come si fa a far finta di niente quando c’è tanta violenza?»

Ha pensato di organizzare un concerto per la pace?

«È presto. In piena crisi è difficile dire: andiamo a cantare. Ho sempre paura quando un artista comincia a predicare opinioni sociali o politiche. Cosa può fare il mondo della musica non lo so, so però che deve raccontare la crisi umanitaria e questi grandi spostamenti. È una sfida gigante per l’Unhcr, un’organizzazione che conosco bene e che sta facendo tantissimo. C’è sempre il rischio che tutte queste storie umane diventino solo statistiche e ci dimentichiamo degli individui. Il nostro compito è provocare empatia».

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