L’ambiente Napoli segue propri circuiti mentali: dal tradimento di Napoli-Verona alla punizione di Ounas contro l’Inter, ignorando i meccanismi elementari dello sport
A chi si lamenta ancora delle occasioni perse va ricordato che a calcio giocano anche gli avversari. E la vittoria a tutti i costi non la garantisce nessuno. E che talvolta i pareggi sono meglio delle sconfitte. Sembra lapalissiano, ma in tanti non lo ricordano. E a quelli che ancora discutono della punizione di Ounas all’ultimo minuto contro l’Inter, va ricordato che i pareggi possono diventare ottimi soprattutto negli scontri diretti. Perché il Napoli è ancora lì, anzi è ancora più su.
Perché il Napoli avrà anche perso le sue occasioni, ma in un campionato che ricorda sempre più il tressette a perdere, l’importante è non allontanarsi mai dal vertice. Anzi, qualche volta stare coperti è pure meglio, perché riduce l’ansia e fa lavorare più tranquilli.
Sì, l’ansia. Qualcuno dirà la solita frase fatta, ironizzando sui giovanotti milionari che soffrono d’ansia e che hanno paura di vincere. Come se bastasse il conto in banca a dare la giusta serenità a chi va sul campo di gioco.
E allora ripensate ai campioni che nell’estate di Tokyo hanno svelato tutte le loro fragilità. Pensate a un multimilionario come Novak Djokovic che nel giro di poche settimane ha buttato via un oro olimpico e poi la possibilità di vincere il Grande Slam, divorato dalla pressione.
E invece qui da noi si parla ancora di Napoli-Verona dello scorso campionato, come se fallire una partita debba sempre essere riconducibile a complotti, a dispetti interni, alla volontà di non vincere ed altre amenità del genere.
Spalletti lo ha fatto capire a chiare lettere: a Napoli è difficile vincere. Resistere ad alti livelli dalle nostre parti costa fatica, la pressione è enorme, e tutto ciò che non equivale alla vittoria viene sempre identificato come fallimento.
E ora dimenticate Empoli e Spezia per favore. Dimenticate Cagliari-Napoli. Perché questa testata lo ha scritto benissimo la scorsa settimana: persino con Maradona in squadra il Napoli ebbe degli stop improvvisi. Alcuni totalmente dimenticati, come quel clamoroso Verona-Napoli 3-0 a tre giornate dallo scudetto 1986-87. Un inciampo che rischiò di mandare all’aria un’intera stagione e che nessuno ricorda più, perché tutto finì in gloria. Anche perché fortunatamente le avversarie del Napoli nel frattempo si erano squagliate. Pensate che nella stagione del primo scudetto, nelle ultime 9 partite il ruolino degli azzurri fu di appena due vittorie, cinque pareggi e due sconfitte. Con un’avversaria più forte si sarebbe cambiata la storia, anticipando il crollo che avvenne l’anno successivo.
Perché il calcio è maligno, la testa è fondamentale e l’ansia ti taglia le gambe.
L’ansia, la maledetta ansia. All’Olimpico era palpabile. Di nuovo bloccati ed incapaci di avanzare. Finché Lorenzo Insigne non ha messo la palla in rete. Da quel momento la squadra si è risvegliata, ha ricordato di essere forte. Ha saputo soffrire e ha reagito alla grandissima dopo un pareggio a due minuti dalla fine che avrebbe abbattuto pure un elefante.
E per finire qualche numero, visto che in tanti si divertono a fare statistiche soprattutto in senso negativo.
Bene, il Napoli è la squadra con la miglior difesa, 19 gol subiti, con 3 gol di vantaggio sull’avversaria più vicina (l’Inter con 22). Ha il quinto miglior attacco ed ha la seconda miglior differenza reti (+30 contro i +33 dell’Inter).
È in testa alla classifica alla 27ma giornata (anche se all’Inter manca una partita), come mai accaduto dal suo ritorno in Serie A. La migliore performance del Napoli così avanti nel campionato era stato il secondo posto a un punto dalla Juventus alla 34ma del torneo 2017-18. Poi al massimo la seconda piazza a 3 punti dalla stessa Juve tra la 27ma e la 30ma nel 2015-16.
E allora godiamoci il momento. Ricordiamo la lezione di un grandissimo come Julio Velasco: dimentichiamo i punti persi e pensiamo solo ai punti da fare.
Sono quelli ad essere importanti.