Pippen contro Jordan: «Ha prodotto The last dance per dimostrare che lui è meglio di Lebron»

Dalla sua autobiografia: "Come osa Michael trattarci in quel modo dopo tutto quello che abbiamo fatto per lui? E' stato umiliante"

Michael jordan

Db Milano 24/10/2006 - Jordan Classic Camp / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Michael Jeffrey Jordan

Come osa Michael trattarci in quel modo dopo tutto quello che abbiamo fatto per lui? Michael Jordan non sarebbe mai stato Michael Jordan senza di me, Horace Grant, Toni Kukoc, John Paxson, Steve Kerr, Dennis Rodman, Bill Cartwright, Ron Harper, BJ Armstrong, Luc Longley, Will Perdue e Bill Wennington”. È passato più di un anno da quando “The Last Dance” è atterrato su Netflix riscrivendo la storia dei Bulls e anche un po’ la serialità documentaristica sportiva. E Scottie Pippen non l’ha ancora digerita. Il documentario su Michael Jordan e i Chicago Bulls scatenò la reazione degli ex compagni, messi in secondo piano. E di Pippen in particolare, lui che viene ancora raccontato come solo una “spalla” del grande MJ.
In un’anticipazione della sua autobiografia (“Unguarded”) pubblicata da GQ, Pippen scrive:

Michael era determinato a mostrare alla generazione attuale che era il più grande di tutti i tempi. Anche più grande di LeBron James. Non potevo credere a quello che stavo vedendo. Più e più volte, i riflettori si sono accesi sul numero 23. Anche nel secondo episodio, incentrato per un po’ sul mio difficile percorso verso la NBA, la narrazione è tornata su MJ e sulla sua determinazione a vincere. Il suo miglior compagno di squadra di tutti i tempi, m’ha chiamato. Non avrei potuto essere più condiscendente se ci avessi provato”.

“Ora eccomi qui, sulla cinquantina, a 17 anni dalla mia ultima partita, guardare questa serie umiliarci ancora una volta. Viverla la prima volta è stato piuttosto offensivo. Ogni episodio era lo stesso: Michael su un piedistallo e i suoi compagni di squadra in basso. Si riferiva a noi in quel momento come il suo cast di supporto”.

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