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Non ci sono più i difensori d’una volta? La verità è che non c’è più il regolamento di una volta

Gli ex marcatori si fanno belli del luogo comune ma ai loro tempi non imperava la cultura del rigorino. Il fallo fischiato a Ibanez su Ibrahimovic celebra la morte del ruolo

Non ci sono più i difensori d’una volta? La verità è che non c’è più il regolamento di una volta

Negli ascensori dei condomini più nostalgici “non ci sono più i difensori d’una volta” ha sostituito le mezze stagioni da un bel po’. Ci si incontra nel luogo comune – l’androne del palazzo, il bar sport, la chat di whatsapp – per dare nuova forma all’ennesimo “si stava meglio quando si stava peggio” del calcio. Lo frequentano, soprattutto, proprio loro: i difensori d’una volta. Quelli che avevano fama d’assassini, quelli che se il pallone passava, la gamba mai. Quelli che la rivisitazione vintage propone – puntando il dito – come esempi di integerrima durezza: cortine di ferro umane, sporchi e cattivi ma anche eleganti bastioni d’Orione. I Grandi Marcatori. Se ne parla e se ne scrive come di Tyrannosaurus Rex ormai estinti. “Bonucci e Chiellini, dietro di loro il vuoto”, ha recitato fatale Fabio Cannavaro, che alla stessa stirpe appartiene. Riconosciuto, lui, d’un Pallone d’Oro.

Basta fare una veloce ricerca su Google: “Non ci sono più i difensori d’una volta” l’hanno detto Tricella, Vierchowod, Baresi, Bruscolotti, Gentile, Nesta eccetera eccetera. Pure Chiellini che non è ancora d’una volta ma ci si sente. Tutti a prendersela coi difensori d’oggi, come si fa per “i giovani” da secoli dei secoli: categorizzandone le debolezze. Usati a zona, allevati alla costruzione dal basso, alla ricerca del passaggio più che dell’azzoppamento altrui. Lo stilema è: smidollati. Non è manco colpa loro, ammettono i nonni con condiscendenza. E che li disegnano così. Da piccoli.

I “vecchi” difensori, il club degli arcigni, sono diventati tutti elzeviristi di settore: più che rivendicare la loro superiorità, la spiegano. E’ un problema di scuola, dicono. Ma in questa propaganda postuma manca un dettaglio: i difensori di oggi sono delle vittime.

Basta osservarli: sono animali in gabbia. Se potessero si estirperebbero le braccia, pur di non correre il rischio che l’attaccante avversario gliele miri proditoriamente. Si muovono come i fantocci del biliardino. La tecnologia e il regolamento nel frattempo hanno reso illegale praticamente ogni movenza che li riguardi. La ricerca al microscopio del “contatto” ha trasformato le aree di rigore in oasi militarizzate, in cui chi prova a far gol deve agire quasi indisturbato: è in missione per conto di dio, lo show, i soldi che ne derivano. Al difensore tocca una resistenza d’amorosi sensi. Una profilassi dei modi. È la dittatura del “rigorino”. E i difensori sono dei martiri. S’immolano.

A Cannavaro, a Ferrara, a Maldini, a Bergomi (per non dire di quelli coi carichi pendenti rovinati come Montero o Bruno) andrebbe richiesta consulenza dopo la visione forzata – per ore, tipo Arancia Meccanica – del rigore concesso al Milan per il fallo di Ibanez su Ibrahimovic. L’arbitro Maresca “punisce” il concetto stesso di contrasto: come osa il centrale della Roma arrestare la corsa di Ibra verso la gloria? Il Var Mazzoleni, evidentemente in crisi mistica, richiama il collega al monitor, concedendogli un’occasione per redimersi. Ma no, per Maresca quello è fallo, è rigore, è il raddoppio del Milan, è un cappio al collo della partita.

Dice Capello che “in Italia si arbitra così ma il calcio è anche contatto. Metterei un ex calciatore in sala VAR per far capire cosa accade in campo, è sempre stata una mia battaglia”. Persa. E non è solo in Italia che fischiano cose del genere. Pochi giorni fa l’Atletico, in Spagna, ci ha rimesso due punti.

Che poi, mica solo i difensori d’una volta non ci sono più. Gli arbitri, signora mia… gli arbitri. Casarin, vecchia guardia, la vede così:

“il calcio di rigore è un risarcimento. Quando si è nelle condizioni reali disegnare e di concludere l’azione in maniera concreta e viene abbattuto allora bisogna risarcirlo. Il rigorino nasce perché non è più risarcimento. In Italia grande parte dei rigori è gran parte inventata”.

Ed è pur vero, come dice Bruscolotti, che a questi rammolliti difensori di oggi “mancano proprio i fondamentali, affrontano gli avversari di pancia, non si sanno posizionare”. Ma è il contesto che è cambiato: 30 anni fa avevano licenza d’uccidere o quasi, nel 2021 rischiano la pena capitale (il rosso) ad ogni “movimento incongruo”. Diglielo in faccia a Pasquale Bruno che è “incongruo”, e vedi cosa ti torna.

Quando all’Inter Foni chiese ad Armano, la sua ala destra, se gli andava di coprire tutta la fascia e quello disse sì, nacque il “gioco all’Italiana” usato per vincere. E infatti l’Inter vinse 2 scudetti consecutivi segnando la metà dei gol che aveva fatto la Juve nel 1950, subendone infinitamente meno. E’ morto settanta anni dopo quel gioco, proprio in Italia. Soffocato dal regolamento.

Ai “grandi difensori d’una volta” era permesso di diventare grandi. A quelli piccoli di oggi è richiesto di guardare il pallone e non l’uomo, di valutare i tempi asincroni del fuorigioco (tenendosi stretti il millimetro di tolleranza), devono ricominciare l’azione, cercare il passaggio intelligente, mai sprecare. E’ richiesto l’argine ma soprattutto l’igiene: gli avversari vanno fermati, sì, ma non troppo. La retorica che ancora s’usa nelle redazioni è quella dello “sport per signorine”, degli “attributi” (perché “palle” no, fa brutto), e poco aderisce a questo nuovo mondo super-educato, un po’ contorto, molto frustrante.

Ognuno ci legge quel che ci vuole in questa trasformazione epocale del gioco e del ruolo, per molti è una deriva scientifica dell’introduzione dei tre punti per la vittoria. S’attacca di più, ci si difende per quel che si può, per mero calcolo materiale. E’ una generalizzazione.

Dopo anni spesi a compatire i poveri portieri cui fu negato il retropassaggio, è forse arrivato il momento di dare al difensore d’oggi quel che gli spetta: un po’ di umana pietà. Gli andrebbe riconosciuta un’indennità, da invalidità regolamentare.

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