Al Corriere Veneto: «Tokyo 2020? Gli atleti sono solo numeri, conta solo il business. Il ricorso alla corte europea? Costa troppo e non credo all’arrivo di un benefattore»
Sul Corriere della Sera Veneto una lunga intervista ad Alex Schwazer.
«Faccio il preparatore atletico per amatori. Ho un bel gruppo di uomini stra-motivati che seguo da ormai quattro anni, il più giovane ha la mia età e si arriva ai sessant’anni. Un lavoro di allenamento individuale molto gratificante».
Ha iniziato a lavorare da preparatore dopo la sospensione di Rio.
«All’epoca volevo solo mantenere la mia famiglia facendo quello che sapevo fare. Oggi guardo alla preparazione degli altri con più equilibrio e moderazione di quanto non ne riservassi a me stesso: tendevo a pretendere troppo, specialmente nei primi anni da professionista».
Sulle Olimpiadi di Tokyo:
«È tutto un grande business ma sono la gara più importante per uno sportivo che si allena per anni per un sogno. Se avessi avuto la possibilità sarei andato a Tokyo: non voglio dire che è tutto sbagliato solo perché me lo hanno impedito. Però è indubbio che l’atleta, che dovrebbe essere al centro di tutto, è solo un numero. Più che per gli atleti queste Olimpiadi si fanno per limitare le perdite economiche».
Ammette di non seguire le Olimpiadi.
«Non le seguo. Vedrò solo i diecimila metri perché corre l’italiano Yeman Crippa di cui sono tifoso e sarei contento se vincesse una medaglia. Il resto non mi interessa: gli ultimi sono stati mesi impegnativi, ho bisogno di staccare e non farmi del male vedendo gare in cui avrei potuto competere».
Nel libro a firma del suo allenatore, Sandro Donati, c’è un capitolo dedicato alla rinuncia di Schwazer ad un sogno, ovvero proprio a Tokyo 2020. L’atleta puntualizza:
«Bisognerebbe chiedersi se questo è davvero il mio sogno, perché da molti anni lo sport non è più l’obiettivo principale della mia vita come quando ero solo un atleta. Ora ci sono cose più importanti. Se dovessi augurarmi qualcosa per il 2024 non direi mai le Olimpiadi. Volevo andare a Tokyo perché la giustizia ordinaria ha provato la mia innocenza ed era giusto provarci, ma non voglio più vivere per le competizioni ai massimi livelli. Sarebbe triste e limitante se fossi solo un marciatore o un ex-marciatore».
E’ in arrivo anche un’autobiografia.
«Affronto molti aspetti mai emersi, soprattutto le difficoltà iniziali. A 18 anni volevo smettere con la marcia perché venivo squalificato a ogni gara. Il mio allenatore mi aveva costretto a fare un anno di ciclismo, ma cadevo sempre. Poi mi ha convinto a fare ancora una gara di marcia; doveva essere l’ultima ma ho vinto e lì è partito tutto. A 20 anni sono stato il più giovane in medaglia assoluta nell’atletica italiana. C’è chi pensa che grazie al talento le cose mi siano venute facili, invece sono state la passione e la tenacia a mandarmi avanti».
Sul ricorso alla Corte europea per i diritti dell’uomo:
«Proprio oggi leggevo informazioni inesatte su un mio ricorso alla Corte europea per i diritti dell’uomo: il tribunale federale svizzero ha negato la sospensione temporanea della squalifica, ma nel merito deve ancora pronunciarsi. Potrei dover ricorrere alla Corte europea, ma allo stato attuale manca l’istanza prima: le motivazioni di un eventuale diniego. Poi si è detto che il Tas non ha perseguito la violazione del codice antidoping Wada, data la manipolazione delle provette. In realtà sarebbe tutto pronto ma sono costretto a rinunciare perché mi costerebbe almeno 42mila franchi svizzeri, più di 38mila euro. Il mio avvocato non ha mai chiesto un centesimo, ma ci sarebbero le spese dell’avvocato inglese e degli avvocati della controparte, se perdessi. Si potrebbe arrivare a 90, forse addirittura 150mila euro. Se un ipotetico benefattore mi finanziasse andrei avanti, ma non succederà: parole e promesse ne ho sentite tante in questi mesi. Qualcuno si era esposto promettendo di trovare un sostegno ma poi è scomparso. C’erano stati contatti anche con imprenditori e sponsor ma non si è arrivato a niente. Così ho dovuto fare un passo indietro».