Marc Marquez: «Ho pregato per riavere l’uso del braccio. Ho imparato che ci sono tante gare ma un solo corpo»

A Repubblica: «Durante il minuto di silenzio per Dupasquier ho cercato di non pensare, altrimenti me ne sarei andato»

Marquez

Repubblica intervista Marc Marquez. Il 19 luglio 2020, a Jerez, cadde e si procurò la frattura dell’omero destro. Fu operato, dopo qualche giorno tornò in pista, ma si accorse che il calvario era appena cominciato. L’ultimo intervento a cui è stato sottoposto è durato 11 ore.

«Ho pregato lassù, in cielo, per riavere l’uso del braccio».

Gli viene chiesto se pensa di poter tornare come prima.

«So di potercela fare. Però in questo momento la mente va dove il corpo non riesce ad arrivare. Ho recuperato l’uso del braccio destro. Credetemi, non era scontato: non sto parlando di andare in moto, mi riferisco alla vita normale. Mangiare, farsi la barba, giocare coi miei cani. Non ho pensato ad altro, in tutto questo tempo: il mio braccio».

Continua:

«Ho imparato diverse cose. Le lesioni non sono tutte uguali. Quando ti succede una cosa come questa, è meglio ascoltare tre opinioni diverse prima di tornare in moto. E la più importante: ci sono tante gare ma un solo corpo. Se il corpo cede, non ci saranno più gare».

Ora, dice, bisogna solo avere pazienza.

«A livello mentale è durissimo. Quando sei appena operato, psicologicamente non è così complicato. Ti fa male fisicamente, provi dolore: e non pensi. Ora, invece: la mente va in un posto, perché hai ripreso a pensare. Però con il corpo non ci arrivi. Succede in palestra, così come in moto: la tua testa ti dice una cosa, la realtà è un’altra».

Racconta quanto la famiglia lo aiuti, lo appoggi, in questo momento così difficile.

«Non possono risolvere il problema, d’accordo: però possono aiutarmi a non pensarci. E a non perdere la fiducia in me stesso. Io so bene da dove vengo, quali sono i miei limiti attuali, dove voglio arrivare. Ma ho un tremendo bisogno di staccare, di ritornare a una vita normale. Sono stati 10 mesi di montagne russe: euforia, tristezza. Non sapevo se sarei davvero tornato, in Portogallo piangevo. Ho bisogno di distrarmi. Per dire: vorrei che il mio fisioterapista, che ha fatto una lavoro straordinario, tornasse presto a casa sua. Perché rivoglio la mia vita di prima».

Marquez commenta la morte di Jason Dupasquier, domenica scorsa.

«Una tragedia che ci ha ricordato i rischi che corriamo salendo in moto. Ho cercato di non pensare a nulla, nel minuto di silenzio: se lo avessi fatto — lucidamente — me ne sarei andato. Gli organizzatori hanno deciso di andare avanti: ma chiunque poteva decidere di fermarsi, e la sua squadra non lo avrebbe rimproverato».

 

Correlate