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Flavio Tranquillo: «È ridicolo legare vittorie e sconfitte al solo allenatore»

Intervista al Napolista: «L’idea del tecnico come demiurgo è storicamente falsa». Parla di De Laurentiis e degli influencer sportivi

Flavio Tranquillo: «È ridicolo legare vittorie e sconfitte al solo allenatore»
Db Cantu' (Como) 15/06/2011 - finale scudetto basket serie A1 / Bennet Cantu'-Montepaschi Siena / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Flavio Tranquillo

Il Napolista intervista Flavio Tranquillo, giornalista, scrittore, volte e voce notissima del basket di cui è profondo conoscitore. È un analista e un osservatore dello sport.

Se fosse un periodo storico questo che stiamo vivendo dello sport italiano, quale sarebbe?

Non so se oscurantismo, ma di certo non illuminista quanto mi piacerebbe e quanto servirebbe. Il fallimento di un modello inadeguato e autoreferenziale andava certificata, non negata come si sta facendo. Peccato.

Gattuso come Pozzecco, Pirlo come Bulleri. E Djordjevic come Conte. Ti piace?

Se posso, mi servirebbe una conoscenza degli uomini e dei professionisti che non ho. Aggiungo che trovo difficile annettere alla figura dell’allenatore quell’aura che ne fa parte nell’immaginario collettivo. L’idea dell’allenatore come demiurgo è, IMHO, storicamente falsa, e andrebbe ricalibrata.

Messina come Sarri? porta una squadra italiana dopo tanti anni alle final 4 di Eurolega e viene massacrato dagli haters dopo la finale playoff persa. Un po’ come  i tifosi juventini che ritenevano inadeguato Sarri dopo una coppa Uefa al Chelsea e uno scudetto alla Juve. È un problema culturale o è analfabetismo sportivo?

I meccanismi di reazione di massa ai risultati finali delle squadre professionistiche obbediscono a logiche vecchie e trite, che andrebbero superate. Per farlo, gioverebbe un approccio laico, cercando una definizione di risultato e una di prestazione ben più ampie di quelle attuali. Quanto a primogeniture di vittorie e sconfitte, torno sul punto precedente: legare tutto all’allenatore è comunque abbastanza ridicolo. Il risultato è la somma di tante prestazioni individuali e altrettante condizioni interne ed esterne. È interessante indagare il risultato, a patto di sapere che non si può riuscire mai a determinarne la provenienza con certezza. Figuriamoci dire di chi è colpa o merito partendo da una tesi che coincide con il risultato stesso…

Ronaldo scaccia la Coca Cola dal tavolo della sua conferenza stampa, Pogba la birra, Lebron si schiera per il Black Lives Matter… il dio denaro ha smesso di comandare lo sport oppure le grandi star contano più di sponsor e rednecks?

Il denaro non è un dio, bensì un ottimo servo e un pessimo padrone. Disprezzo il concetto di influencer, ammiro quello di senso critico, ma non faccio alcuna colpa a chi utilizza determinati meccanismi che sono oggi disponibili a chi ha una forte presa sulle persone. Non sono interessato a dare alcun giudizio sui singoli, figuriamoci facendo di tutta l’erba un fascio. Sogno però che prima o poi un influencer, sportivo o meno, incoraggi le persone a consumare senso critico, e non bevande. Guai però a discettare degli effetti senza risalire alle cause.

De Laurentiis a Napoli riesce a fare impresa e spesso irrompe a gamba tesa contro il sistema e tirandosi addosso anche l’ira dei tifosi. Che idea hai di lui?

Non ho un’idea su di lui, non ho sufficienti elementi per averla. In termini generali, però, questa cosa del “Tizio fa impresa e Caio no” mi trova molto freddo. Vedo con sgomento che anche questo territorio, nel calcio, è diventato un affare dominato esclusivamente dal tifo. “Voi siete più indebitati di noi” vs. “zitti che non pagate gli stipendi” vs. “il nostro presidente sì che fa affari, il vostro dilapida”. Se posso, mi pare una maniera davvero riduttiva di affrontare una problematica così ramificata.

Se vuoi qualcosa di più specifico, posso copiarti le mie osservazioni via Facebook alle recenti affermazioni di De Laurentiis in occasione del Passepartout Festival di Asti. “Come sempre, dice cose molto interessanti, anche se non sempre colgo la concatenazione logica tra premessa e conclusione. Non riesco a farlo, ad esempio, quando spiega che per fare la Champions League si registra un +70/80/90 (certo) dando però per ineluttabile quel -200/300 (di costo del lavoro) che indubbiamente ne consegue nella pratica. A suo dire è colpa di quelli che definisce “istituzionalisti”. Sarò gnucco io, ma continuo a non capire come possa essere un’istituzione a determinare i costi del lavoro di aziende private. Il nocciolo di tutta la vicenda sta lì, ma neppure uno “outspoken” come lui entra nel dettaglio di questa aporia. Gentilmente, risparmiatemi le consuete litanie sui proprietari infoiati che spendono per vincere e non riescono a non cadere in tentazione, perché se così fosse (e non è né può essere) allora verrebbe a cadere qualsiasi ragionamento. Idem dicasi, sempre se possibile, per la storiella degli agenti padroni del mercato. Durante la sua dissertazione, e nella sua attività imprenditoriale, De Laurentiis mostra infatti di capire molto bene la supremazia decisionale e regolatoria di chi investe rispetto a chi non lo fa. Solo che poi non mette assieme i pezzi come sarebbe logico fare (per esempio, dando all’ente regolatore il ruolo che evoca nel suo discorso)”.

Napoli ha affrontato l’A2 con una squadra davvero illegale, con proporzioni differenti da quelle che consentirono a De Laurentiis di vincere la B con costi “normali”. Perché la Napoli del basket, per tornare ai livelli di una A1, ha invece bisogno di un progetto così diverso ed oneroso da quello delle varie Treviso, Brescia, Virtus Roma?

Non saprei dirti, perché non conosco lo specifico di cui si parla. Comunque non esistono, in generale, costi “normali” o “anormali”, bensì costi funzionali o meno rispetto alle strategie di medio-lungo periodo di un’impresa.

Scariolo alla Virtus ti sorprende? Repesa alla F?

No. Dovrebbe?

Pensi sia possibile un salary cap per il calcio italiano?

Non ne ho la più pallida idea, ma bisogna che ci intendiamo. Un salary cap senza entrate centralizzate e ridistribuite in parti uguali tra i consorziati sarebbe come costruire una piscina sapendo di non poterci mettere l’acqua dentro. Il problema è che si pensa che il salary cap sia uno strumento di controllo dei costi, cosa che non è affatto vera. Il salary cap, in un sistema con quelle entrate centralizzate, ridivise in parti uguali, riequilibrate con meccanismi come la luxury tax e il revenue sharing, è uno strumento che garantisce l’equilibrio competitivo, cioè la grande pecca del sistema europeo. Il controllo dei costi si consegue con la managerialità, non con una cintura di castità che tutti indossano di malavoglia. Presentarlo in questa maniera è molto pittoresco (vedi sopra) ma francamente fa un po’ cadere le braccia. Davvero si ritiene che De Laurentiis, Agnelli, Zhang e Friedkin abbiano bisogno di noi per comprendere le conseguenze del loro business model e/o essere “costretti” (ahahahaha) a “non spendere troppo”? Suvvia…

Giochiamo io dico il nome di un atleta e tu lo paragoni ad un autore della letteratura.

Belinelli Alfieri

Gallinari Fenoglio

Lukaku Ta Nehisi-Coates

Lebron Dan Brown

MJ John Grisham

Federer Scott Fitzgerald

Pajola JD Salinger

Insigne Maurizio de Giovanni

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