E’ dal 2017 che l’Atp “spinge” per il passaggio di consegne, ma alla fine vincono sempre loro. Ora concentrano gli sforzi sugli Slam, e non c’è verso di scalzarli
La generazione che nel 2017 già chiamavano “next” sta invecchiando. Di “next” non c’è rimasto che un presente di soddisfazioni di risulta, di tornei vinti una tantum, anche importanti. Di fuochi fatui, prima innescati da una stampa che da anni prova a rinfocolare la competizione del tennis apicale anabolizzando le aspettative, e poi demoliti dalla stessa stampa che nel frattempo ha terminato le parole per la celebrazione di quei tre lì: Federer, Nadal, Djokovic.
Il primo nemmeno gioca più da un pezzo. Sta tornando adesso e ci scherza su (“meriterei di essere 800 al mondo, in questo momento“). Ma gli altri due hanno divorato la gioventù altrui a Roma, si sono presi la finale e hanno ribadito: “La Next Gen siamo noi”. Che alla premiazione al Foro Italico pareva una battuta. Ma no. Nella successiva conferenza stampa Djokovic ha ripreso il filo, più serio e tranciante:
“L’ho detto mille volte. Non so quante volte volete che che lo ripeta. La NextGen starò anche arrivando, certo. Ma noi intanto stiamo ancora qua, e vinciamo tornei più importanti, e gli Slam“.
Ora, vestiti i panni di Tsitsipas, o di Thiem, o di Zverev o Medvedev, s’avverte una depressione incombente. Perché vincono anche loro – compreso il parvenu Hurkacz hanno vinto i primi quattro Master 1000 della stagione – ma poi quando c’è da accaparrarsi i premi pesanti ecco spuntare i grandi vecchi. I quali dimostrano uno strapotere mentale quasi imbarazzante. Negano semplicemente l’idea di sbagliare partita, la resa non gli appartiene, quando vanno sotto entrano in uno stato mentale difficile da descrivere: si isolano, combattono, resistono. E alla fine vincono.
Così ha fatto Nadal contro Shapovalov, e così Djokovic contro Tsitsipas, a Roma.
E’ come se un’intera generazione di talenti rischi di perdersi nell’anelito di scalzarli. Non riuscendoci mai, a dispetto di età irriguardose. L’avvilimento.
Si delinea ormai un panorama tennistico in cui tutti hanno un contentino, ma è come se il circuito andasse verso una pacifica spartizione della gloria. Federer, Nadal e Djokovic non hanno certo il fisico per reggere 100 partite l’anno, ma possono scegliere di concentrare le energie anche solo per quei quattro Slam e prendersi il piatto più ricco, tenerlo per sé. Relegando gli altri, i post-next, ai successi laterali.
Scrive il Guardian che sabato Nadal e Djokovic si sono incontrati negli spogliatoi romani e hanno scherzato sul loro rifiuto di cedere il passo ai giovani.
E’ dal lancio della NextGen ATP, 2017 appunto, che il Tour ha cercato di commercializzare la nouvelle vague, riempiendo le conferenze stampa di domande su giocatori ancora da dimostrare, post-adolescenti. Il dominio può diventare stantio, dopo 15 anni cercano tutti nuove storie da raccontare.
E anche se i giovani non sono riusciti a sfondare sui palcoscenici più nobili, la campagna NextGen è stata un successo: ha costruito delle star, facilmente identificabili, ormai posizionate ai vertici di questo sport. Ma anche ai margini. Ad un metro dalla vetta. Occupata sempre da quei tre, oltre le nuvole, inarrivabili.