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Napoli-Lazio 5-2 conferma che le statistiche sono la Corazzata Potemkin del calcio

Il risultato vince sempre. Il resto è illusione. Come i presunti potenti del calcio che hanno scoperto che c’è sempre qualcuno più burattinaio di te

Napoli-Lazio 5-2 conferma che le statistiche sono la Corazzata Potemkin del calcio
foto Hermann

La diatriba giochisti vs. risultatisti potrebbe essere paragonata a quella tra fautori dell’alimentazione purchessia e i sostenitori del cibo solo a determinate condizioni: o mangio gourmet o non mangio. Finirebbero per vincere sempre i primi, con i fautori dello slow food che al terzo giorno (ma anche prima) divorerebbero uno spaghetto aglio e olio o si aggrapperebbero a un vasetto di crema di arachidi qualsiasi.

Vale lo stesso per il calcio, altrimenti  visto che siamo in clima di rivoluzioni – dovrebbero introdurre l’obiezione di coscienza per il risultato. I giochisti dovrebbero accogliere soltanto il risultato ottenuto in obbedienza ai propri principi.

Napoli-Lazio 5-2 ha fornito l’ennesimo esempio dell’inutilità delle statistiche che nel calcio equivalgono alla Corazza Potemkin per Fantozzi. Gli expected goals rappresentano l’aberrazione del pallone, la deriva onanistica che prende il sopravvento sulla realtà e, se volete, sull’accoppiamento col gol che resta pur sempre la sublimazione dell’orgasmo.

Napoli-Lazio 5-2 ci ricorda che a pallone vince chi segna, chi “abboffa la rezza” per dirla alla napoletana. E il Napoli ieri sera ha dato dimostrazione di balistica calcistica. Cinque gol: due meravigliosi, un altro imprendibile (Osimhen) con una mazzata di destro e un bel sinistro di Politano sul primo palo: non è colpa di Politano se Reina si è fatto uccellare; l’idea era buona.

Nella sua analisi tattica, Alfonso Fasano ha fotografato perfettamente il cuore del match:

dopo il 2-0 la gara è stata tatticamente e numericamente equilibrata. Anzi, è stata la Lazio a tenere di più il pallone, come abbiamo già detto; a tirare molto di più in porta, addirittura 16 tentativi a 8 dal minuto 11′ in poi; a giocare più palloni nella metà campo (316, contro i 256 del Napoli) e soprattutto nell’area di rigore avversaria (45-12), come si vede chiaramente dai grafici appena sopra. Non è un caso che, alla fine della partita, anche il dato degli expected goals – i cosiddetti gol attesi, ovvero il numero di gol potenzialmente prodotti in base al numero e alla pericolosità geografica delle conclusioni tentate – è favorevole alla squadra di Inzaghi (1.44-1.71 secondo l’account xGPhilosophy).

La differenza nel numero di gol segnati si è determinata – come avviene in tutte le partite di tutte le squadre –  sta nella capacità di sfruttare queste occasioni. Quindi nel talento dei singoli, che in partite del genere risulta alimentato, se non addirittura moltiplicato, dall’efficacia della strategia tattica. Il Napoli, quindi, ha manifestato maggior qualità nella fase conclusiva. L’ha manifestata pur tirando meno, e da posizioni da cui è teoricamente più difficile far gol. In effetti, le reti di Politano, Insigne e (soprattutto) Mertens sono tanto belle quanto difficili, e in qualche modo hanno “segnato” il risultato e l’andamento della partita. Da considerare anche la scarsa reattività di Reina, soprattutto sulle conclusioni di Politano e Osimhen.

Le statistiche a questo servono, a farti compagnia. E a erigere il castello di alibi al termine di una partita perduta.

Napoli-Lazio è il bello del calcio. È il calcio. Come si cantava in Gambe d’oro, film con Totò e un giovanissimo Paolo Ferrari, “uno due tre, tu passi a me e io passo a te; scarta, tira, gol gol, questo è il fascino del football”.

È stata una settimana strana, in cui finalmente qualcuno ha preso coscienza che il calcio è business. E che, così com’è organizzato, il sistema non si tiene più. I presunti potenti del pallone hanno pensato di poter fare un golpe e organizzarsi la Champions in proprio, con le loro regole. Di fondo, hanno ragione. Loro spendono, loro si indebitano e la Uefa – che nulla rischia – stabilisce le regole. Ma perdi se vuoi eliminare il fascino del calcio che è l’unico sport in cui puoi vincere anche se giochi peggio.

Ma i presunti potenti (che in realtà sono dilettanti allo sbaraglio, incompetenti, incolti in materia di business) non hanno fatto i conti, i potenti del pallone, con qualcosa più grande di loro. Il E probabilmente si sono resi conto di essere più burattini che burattinai. Come oggi ha spiegato perfettamente la Suddeuetsche Zeitung. Il calcio non solo è bugia, è finzione. È una forma di religione. La religione è fondamentale per mantenere gli equilibri.

Che cosa c’entra questo con le statistiche? Se spogliato della propria illusione, il calcio muore, non ha più presa. E vale anche per le statistiche. Il calcio sono i gol. Voler dare una sovrastruttura scientifica al pallone, è tempo perso. Vuol dire emulare Icaro. Ma, al contrario dei potenti e della Superlega, i giochisti almeno alimentano il chiacchiericcio, gettano legna nel camino, provocano le fiammate che sono così belle da guardare. Anche se durano lo spazio di un attimo. Contribuiscono l’illusione. Sono uguali ai risultatisti, hanno solo trovato un posto a tavola.

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