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Attirare la Lazio e poi colpirla: il Napoli aveva una strategia, poi fare gol aiuta

Bravo Gattuso, anche se il Napoli ha vinto la partita ma non la sfida tattica. Non c’è nulla di male. La differenza l’ha fatta la qualità degli attaccanti

Attirare la Lazio e poi colpirla: il Napoli aveva una strategia, poi fare gol aiuta
foto Hermann

Il Napoli che avrebbe dovuto essere

Al termine della partita vinta 5-2 contro la Lazio, il Napoli di Gattuso suscita sentimenti contrastanti. Di certo che la squadra azzurra è arrivata a questa fase (decisiva) della sua stagione in buona condizione psicofisica, soprattutto nei suoi elementi migliori; allo stesso modo, però, proprio questa (enorme) forza percepita acuisce i rimpianti per quello che non è stato, e avrebbe dovuto essere. È un discorso che riguarda innanzitutto gli infortuni, specie quelli di Mertens e Osimhen, che per lungo periodo hanno effettivamente privato Gattuso delle migliori soluzioni nello slot di prima punta.

Ma c’è anche il rammarico sul valore complessivo di una squadra che avrebbe meritato di coltivare ben altri obiettivi. E che forse, nel suo momento peggiore, ha pagato le assenze. Quelle dei giocatori, di cui abbiamo detto. E poi quella di un piano tattico ed emotivo alternativo, che potesse provare a dominare l’emergenza-infortuni e la partecipazione a più competizioni, piuttosto che subirla passivamente.

Anche perché il 22 aprile 2021, praticamente alla fine della stagione, il Napoli che ha battuto (nettamente) la Lazio è sempre la stessa squadra. Una squadra, cioè, che può vincere – e tendenzialmente vince – nelle partite in cui gioca ad alta intensità tattica. Senza grossi teoremi, senza esprimere nulla di particolarmente sofisticato. Grazie al talento dei suoi uomini offensivi, e a un piano partita semplice – e indovinato – per poterli armare, per poterli azionare. Contro la Lazio, allo stadio Maradona, si è visto tutto questo. Ed è bastato, per portare a casa tre punti fondamentali nella corsa alla Champions League, soprattutto alla luce dei risultati maturati sugli altri campi.

Cosa significa intensità?

Nella fattispecie di questa partita, l’intensità tattica di cui abbiamo detto sopra si è manifestata attraverso un piano tattico elementare ma funzionale. Il primo obiettivo era concedere poco spazio in verticale alla Lazio; dall’altra parte del campo, invece, il target era cercare di trovare soluzioni per attaccare velocemente un avversario costretto a scoprirsi, a portare molti uomini in avanti – proprio perché privata della sua soluzione di gioco più efficace, più fruttuosa.

Da questo punto di vista, anche le spaziature hanno aiutato il Napoli: il 4-2-3-1/4-4-2 scelto da Gattuso si è allungato bene in fase offensiva, isolando i quattro uomini offensivi in avanti, ma poi è riuscito a compattarsi velocemente in fase difensiva, sia in fase di pressing alto – quando doveva evitare transizioni veloci, o voleva  confinare la Lazio sugli esterni – che a presidio degli spazi, mentre la Lazio costruiva dal basso. Inoltre, la superiorità numerica sulle fasce rispetto al 3-5-2/5-3-2 disegnato da Inzaghi ha permesso al Napoli di sfruttare bene il gioco sulle catene laterali, soprattutto quella destra – dove gli azzurri hanno costruito addirittura il 43% delle azioni offensive.

Nel primo frame in alto, il 4-4-2 del Napoli non pressa sulla prima costruzione dal basso della Lazio. Pochi istanti dopo (secondo frame), il pallone si è spostato sull’esterno, una posizione da cui è più semplice cercare tracce verticali; a quel punto, i giocatori del Napoli accorciano il campo difensivo alzando l’aggressività del pressing. Nel frame sopra, si vede invece come il Napoli abbia preferito spezzarsi in due, allungarsi, pur di cercare maggiormente il gioco diretto e verticale; nel cerchio blu, la voragine a centrocampo tra il doble pivote Bakayoko-Fabián e Zielinski.

Oltre a queste immagini, anche i dati chiariscono l’approccio tenuto dalla squadra di Gattuso. Tra tutti, quelli su un baricentro in fase di non possesso piuttosto basso (posto a 41 metri) che però non toglieva agli azzurri la possibilità di alzarsi velocemente in fase offensiva (fino a un baricentro medio di 56 metri). Un’altra cifra significativa è quella dei passaggi lunghi: 30 nel primo tempo e 58 al termine della partita, un numero importante, soprattutto considerando che la media stagionale della squadra di Gattuso si attesta intorno ai 47. Cosa vogliono dire questi dati? Che il Napoli, come detto, aveva un piano partita e ha saputo applicarlo. Un piano partita che tra l’altro è stato costruito su misura per limitare i pregi e sfruttare i difetti degli avversari.

Il baricentro basso in fase passiva e (ben) più alto in fase attiva dimostra come il Napoli abbia saputo rinculare bene in occasione delle manovre più lunghe dell’avversario (quelle iniziate in costruzione bassa, inevitabilmente), per poi riuscire a salire nel momento opportuno, quando c’era da attaccare la difesa avversaria e/o recuperare il pallone e scongiurare il pericolo di subire azioni pericolose in verticale, o transizioni rapide.

In questo modo, la Lazio è stata limitata nella sua miglior espressione, quella del gioco offensivo in campo lungo, il contesto preferito da Immobile; allo stesso tempo, la squadra di Inzaghi è stata costretta a tenere il pallone per più tempo, a impostare azioni manovrate dal basso. Una soluzione già meno efficace, per i biancocelesti, e che è risultata del tutto inefficiente alla luce delle pessime condizioni di Lucas Leiva e soprattutto Luís Alberto. Un’ulteriore conferma di queste letture arriva dal dato grezzo sul possesso palla: a fine partita, 51,2% per la Lazio, 48,8% per il Napoli.

Tre passaggi e palla in buca d’angolo

In queste immagini, in questa azione, c’è la spiegazione del perché sia stato efficace e funzionale giocare molti passaggi lunghi. La Lazio, dopo aver perso palla, si ritrova con sei uomini nella trequarti avversaria e altri sulla linea di metà campo; dopo il recupero completato da Bakayoko, Manolas e Koulibaly, Hysaj decide di verticalizzare subito su Insigne; altro cambio di campo lungo, panoramico, per Mertens; stop e controllo del belga, che premia la sovrapposizione di Politano; sterzata veloce su Fares e tiro che sorprende (colpevolmente) Reina sul primo palo.

Insomma, il Napoli ha attirato la Lazio nella sua ragnatela e poi ha approfittato velocemente, cioè con un gioco diretto, degli spazi che ha determinato attuando questa strategia. Certo, poi occorrono tecnica e lucidità – di solito, anzi sempre, vanno di pari passo – per poter fare un lancio come quello di Insigne, uno stop come quello di Mertens. Occorre anche un pizzico di fortuna quando Politano può affrontare un giocatore (a dir poco) ingenuo come Fares nell’uno contro uno. E un portiere tendente all’errore come Reina, subito dopo.

Il punto è che il Napoli ha mostrato di avere una strategia. Un progetto tattico pensato per questa partita. L’ha studiato e l’ha eseguito. Riguardandoli bene, anche i gol di Insigne e di Osimhen nascono da azioni veloci, di ribaltamento, volgarmente definite di contropiede, che sfruttano in verticale lo spazio lasciato da una Lazio che attacca portando molti uomini in avanti (in occasione della rete di Insigne), o che perde palla con Acerbi in fase di costruzione (pochi istanti prima del gol di Osimhen).

Il gol di Osimhen.

L’aiuto del contesto

In virtù di tutto questo, è doveroso fare i complimenti a Gattuso per aver preparato bene la gara. Per aver pensato e attuato un piano partita coerente con le caratteristiche dei giocatori scelti e – soprattutto – con quelle della Lazio. Con la stessa onestà, però, va detto che il tecnico calabrese ha ricevuto anche un bell’aiuto dal contesto. Napoli-Lazio, infatti, è stata “sbloccata” subito dall’episodio del rigore, spostando sulla squadra di Inzaghi la pressione di dover recuperare il risultato. Poi è arrivato il gol di Politano, che ha finito per accentuare, anzi per esasperare, questa situazione.

Dal sito della Lega Serie A, la mappa di tutti i palloni giocati da Napoli e Lazio. A sinistra, quella relativa agli azzurri; a destra, quella relativa alla Lazio.

In realtà, dopo il 2-0 la gara è stata tatticamente e numericamente equilibrata. Anzi, è stata la Lazio a tenere di più il pallone, come abbiamo già detto; a tirare molto di più in porta, addirittura 16 tentativi a 8 dal minuto 11′ in poi; a giocare più palloni nella metà campo (316, contro i 256 del Napoli) e soprattutto nell’area di rigore avversaria (45-12), come si vede chiaramente dai grafici appena sopra. Non è un caso che, alla fine della partita, anche il dato degli expected goals – i cosiddetti gol attesi, ovvero il numero di gol potenzialmente prodotti in base al numero e alla pericolosità geografica delle conclusioni tentate – è favorevole alla squadra di Inzaghi (1.44-1.71 secondo l’account xGPhilosophy).

La differenza nel numero di gol segnati si è determinata – come avviene in tutte le partite di tutte le squadre –  sta nella capacità di sfruttare queste occasioni. Quindi nel talento dei singoli, che in partite del genere risulta alimentato, se non addirittura moltiplicato, dall’efficacia della strategia tattica. Il Napoli, quindi, ha manifestato maggior qualità nella fase conclusiva. L’ha manifestata pur tirando meno, e da posizioni da cui è teoricamente più difficile far gol. In effetti, le reti di Politano, Insigne e (soprattutto) Mertens sono tanto belle quanto difficili, e in qualche modo hanno “segnato” il risultato e l’andamento della partita. Da considerare anche la scarsa reattività di Reina, soprattutto sulle conclusioni di Politano e Osimhen.

I momenti di sbandamento

Per quanto riguarda gli azzurri, oltre alle splendide prove offerte dai giocatori offensivi – tutti, nessuno escluso, compresi i subentrati dalla panchina –, vanno evidenziate anche le prestazioni individuali di Di Lorenzo, Manolas e soprattutto Fabián Ruiz. L’ex terzino dell’Empoli è stato preziosissimo in fase difensiva, non a caso è risultato essere il miglior giocatore in campo per contrasti vinti (6) e palloni recuperati (10); il centrale greco è stato attento e puntualissimo nelle chiusure, alcune anche rischiose e spettacolari, e ha messo insieme 6 eventi difensivi, di cui 4 palloni potenzialmente pericolosi spazzati via.

L’unica didascalia possibile è: Fabián Ruiz tuttocampista

Lo spagnolo, infine, ha dimostrato ancora una volta di essere un regista atipico e moderno, perfetto per una squadra mutevole come il Napoli delle ultime settimane: la mappa dei suoi 79 palloni giocati (record assoluto tra tutti i giocatori scesi in campo) e gli 11 lanci lunghi riusciti su 12 tentativi evidenziano la sua utilità, la sua centralità, in qualsiasi contesto tattico, in qualsiasi zona del campo. Se il Napoli funziona, Fabián funziona. E viceversa.

Gli unici segmenti di partita in cui tutto questo si è spento sono stati quelli in cui l’intensità del gioco della Lazio ha superato quella del Napoli. Ovvero, nella seconda metà del primo tempo e poi dopo il 4-0. In quei frangenti, la squadra di Gattuso ha fatto fatica a gestire gli avversari, a esprimere il suo calcio. Così la Lazio ha potuto/saputo anche pungere in avanti. I dati e gli episodi confermano (anche) queste sensazioni: nel periodo tra il 15esimo minuto del primo tempo e l’intervallo, gli uomini di Inzaghi hanno tirato 5 volte (a 0) e hanno colpito il palo con Correa, a Meret battuto; nella ripresa, tra i minuti 54′ e 78′, sono arrivate le marcature di Immobile e Milinkovic-Savic, più altre 4 conclusioni (contro un solo tentativo del Napoli).

Tutto questo per dire che la squadra di Gattuso ha vinto la partita, ma non la sfida tattica, contro la Lazio. Non c’è niente di male o di sbagliato, in questo. Fin dall’inizio di questa stagione, infatti, chi scrive questa rubrica ha sempre pensato che dovesse andare proprio così, in virtù della composizione ibrida della rosa di Gattuso. Anzi, il problema accusato dal Napoli nel suo periodo di crisi è stata proprio la mancanza di nuove sperimentazioni che ribaltassero l’emergenza infortuni. O, almeno, provassero a farlo.

Conclusioni

Il Napoli arriva a questo finale di stagione senza una struttura tattica che gli permetta di dominare e/o gestire le partite. Soprattutto quelle contro avversari di livello alto, o medio-alto. I verbi dominare e gestire, però, sono diversi da vincere. A maggior ragione quando – ripetiamo – la rosa da gestire è ibrida, è composta da giocatori forti, o anche fortissimi, che però non permettono all’allenatore di creare un’identità di gioco profonda e radicata.

Contro la Lazio, il Napoli ha vinto la partita proprio grazie alla forza dei suoi calciatori, ma anche a un piano di gioco – preparato ad hoc – che ha permesso loro di esprimersi al massimo. E che è stato applicato con la giusta intensità. Come detto, per alcuni periodi della gara la squadra di Gattuso ha subito l’avversario, ma è un dazio da pagare, anzi un’eventualità che sarebbe stato necessario metabolizzare, nel caso in cui il Napoli fosse stato e/o avesse avuto la possibilità di essere una squadra davvero mutevole, ibrida. Purtroppo è andata diversamente: le contingenze e le reticenze (dell’allenatore) non hanno permesso a questo organico di esprimersi al massimo delle sue possibilità. E della sua varietà, soprattutto.

Contro la Lazio, abbiamo avuto una dimostrazione esauriente, seppur breve, di come sarebbe stato se… In ogni caso, restano ancora sei partite, e Gattuso e il Napoli hanno ancora il destino – cioè la qualificazione Champions – nelle proprie mani. È evidente che il tecnico abbia ricominciato a muovere un po’ di più le sue pedine sulla scacchiera tattica. E infatti i risultati sono tornati a essere favorevoli. Giocando in questo modo, il Napoli può vincerle tutte da qui alla fine. Sarebbe un bel biglietto da visita e di crescita per Gattuso, e permetterebbe a De Laurentiis di preparare con serenità il nuovo progetto tecnico-tattico. Che dovrà essere necessariamente meno confusionario e più deciso – nonché più ispirato dal decisionismo – rispetto a quello portato avanti nelle ultime stagioni.

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