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La confusione di Gattuso

La partita contro l’Atalanta è stata l’antitesi di tutto ciò che il Napoli e Gattuso avevano promesso e anche fatto vedere

La confusione di Gattuso

Il contrario di un progetto

Napoli-Atalanta del 3 febbraio 2021 sarà ricordata come la partita del ritorno alla difesa a tre. Era dal maggio 2013, ovvero dall’ultima gara con Mazzarri sulla panchina azzurra, che il Napoli non scendeva in campo dal primo minuto con tre centrali schierati in linea, più due laterali difensivi – anche se schierati a tutta fascia. Nulla di strano e soprattutto nulla di male, ci mancherebbe. Se non fosse per il fatto che questa scelta, da parte di Gattuso, sia stata puramente contenitiva. Anzi, diciamo pure difensiva. Anche questo non sarebbe un problema, ma il punto è che questo sistema di gioco non era mai stato provato prima. Non fa parte del progetto-Napoli e del progetto-Gattuso. Anzi, è praticamente il suo contrario. È l’antitesi di tutto ciò che il Napoli e Gattuso avevano promesso, e anche fatto vedere. Almeno finora.

Il carattere emergenziale di questa scelta si deduce dal fatto che il Napoli, contro l’Atalanta, ha mostrato di non avere un piano offensivo degno di questo nome. Di non avere alcuna idea per far male agli avversari. Gli azzurri sono scesi in campo come se il calcio fosse un gioco di pura e semplice attesa. Non è così, e non perché chi scrive voglia vedere necessariamente un gioco offensivo, sbilanciato in avanti. Ma perché possedere gli strumenti per costruire una strategia offensiva, e per attuarla, rende più semplice e più efficace la fase difensiva.

La forza dei numeri

Il calcio deve essere considerato uno sport fortemente condizionato dagli episodi, per cui basta tirare una sola volta in porta per vincere 1-0. Ma resta il fatto che una squadra vede aumentare le proprie possibilità di successo quando produce molte occasioni da gol e impedisce all’avversario di crearne. Il risultato di una partita è figlio di tante variabili, e difficilmente dice una verità molto diversa da quella espressa sul campo. Ma in questo spazio, lo sapete, cerchiamo di analizzare le partite partendo dai numeri e dalle evidenze tattiche. Ebbene, Napoli-Atalanta è stata una gara a senso unico da entrambi i punti di vista.

Cominciamo dai numeri: il Napoli ha tentato 9 conclusioni, mentre l’Atalanta è arrivata a quota 19; di questi tiri, quelli finiti nello specchio della porta sono stati 2-6 in favore dei bergamaschi; da questo dato, discende che Ospina è dovuto intervenire su 6 conclusioni degli avversari, mentre Gollini si è fermato a 2; il Napoli ha avuto una percentuale migliore di possesso palla (52%-48%), ma il computo dei passaggi nella trequarti avversaria ha detto 100-64 in favore dell’Atalanta: questo vuol dire che la squadra di Gattuso non è andata oltre il giro palla nella propria metà campo, se non in alcuni momenti molto sporadici.

Con questi numeri, si deve necessariamente di partita dominata. Di sfida tattica vinta dall’Atalanta. C’è differenza col vincere la partita, ma ripetiamo: il compito di un allenatore è cercare di far rendere la sua squadra in tutte le fasi di gioco. Evidentemente, Gattuso è consapevole del fatto che il Napoli non abbia la possibilità di rendere in fase offensiva – sarebbe interessante capire perché, al netto delle assenze e del fatto che tutti giochino ogni tre giorni, non solamente il Napoli e l’Atalanta – e allora punta solo su quella difensiva. Facendo scelte – di formazione e di modulo di gioco – che restano decodificabili solo in questo senso.

Lo schieramento del Napoli: nei primi due frame c’è il 5-4-1 in fase difensiva, con Insigne e Politano che si sono mossi sull’asse orizzontale per coprire, alla bisogna, la zona centrale o le fasce laterali; sopra c’è il 3-4-2-1 in quella offensiva, con Demme che scala per aiutare la costruzione bassa, Politano e Insigne che venivano dentro il campo e i due esterni a tutta fascia a garantire ampiezza sulle corsie.

Oltre alle spaziature che vedete nelle foto in alto, anche l’atteggiamento tenuto dagli uomini di Gattuso è stato di pura attesa. La difesa a tre e/o a cinque, di per sé, non è necessariamente rinunciataria, anzi proprio l’atteggiamento e i movimenti dell’Atalanta hanno dimostrato che si può essere proattivi, anche offensivi, pur schierando tre difensori centrali dal primo minuto di gioco. Il Napoli, invece, non solo ha difeso praticamente con un modulo 5-4-1, ma l’ha fatto rimanendo basso, compatto nella propria trequarti.

In alto, dal sito della Lega Serie A, i dati sul baricentro medio di Napoli e Atalanta; sopra, invece, le posizioni medie in fase passiva nel primo e nel secondo tempo.

Il punto è che questo schieramento, come evidenziato dai numeri, ha funzionato solo perché l’Atalanta non è stata precisa in fase conclusiva. Certo, è vero pure che la squadra di Gasperini non ha costruito tante occasioni davvero nitide. Ma va detto che è stata ben più pericolosa del Napoli. Grazie soprattutto alla capacità di trasmettere velocemente il pallone, di farlo in orizzontale e in verticale, così da muovere la difesa avversaria – anche una difesa a cinque uomini, non è quello il punto – e di attaccare gli spazi che si determinavano. Di farlo con i centrocampisti, ma anche con i difensori.

È questa la differenza tra una difesa a tre improvvisata, o comunque pensata e attuata come toppa, rispetto a un sistema simile che si muove però in modo coordinato, organizzato. Che lo fa da anni. Nell’Atalanta, esistono meccanismi molto raffinati, e studiati a tavolino, che permettono a tutti i giocatori, anche ai tre difensori centrali, di sganciarsi in avanti e creare superiorità numerica; e non esistono scompensi, non esistono squilibri, perché le scalate di tutti i compagni garantiscono le coperture preventive in fase passiva. È per questo che Gasperini può permettere a Djimsiti e soprattutto a Toloi di sovrapporsi, internamente ed esternamente, di mandare completamente in tilt le difese avversarie.

Una lunga azione dell’Atalanta che si conclude con un colpo di testa di Gosens. Tre aspetti da notare: il cross dalla sinistra è di Djimsiti, che teoricamente è un difensore centrale; anche l’altro braccetto della difesa a tre, Toloi, si muove come terzino aggiunto per gran parte della manovra; infine, guardate quanti giocatori dell’Atalanta ci sono in area per provare a sfruttare il cross di Djimsiti.

Come si vede chiaramente in questa azione appena sopra, non basta inserire tre difensori centrali per essere sempre in controllo degli avversari. Per tenerli a bada in area di rigore. Specie quando gli avversari di turno sono molto bravi, tatticamente preparati e fisicamente superiori. E quando non viene predisposto un piano per metterli in difficoltà in fase difensiva.

Come voleva giocare il Napoli?

Sì, perché – e val bene ripeterlo – non ci sono preclusioni ideologiche per un assetto difensivo. A patto, però, che sia messo all’interno di un progetto tattico. È questo ciò che è mancato al Napoli in questo ultimo periodo, e questa assenza è stata percepita in maniera ancora più pesante durante la sfida con l’Atalanta. Per cercare di spiegare bene questo concetto, partiamo da una domanda retorica: attraverso quali principi o schemi il Napoli avrebbe dovuto mettere in difficoltà l’avversario? Qual era la strategia offensiva di Gattuso?

I dati sui passaggi lunghi (32 a 21 per il Napoli), così come i movimenti visti nelle (rare) azioni in cui la squadra azzurra è riuscita superare la prima pressione dell’Atalanta, suggeriscono che l’idea era quella di risalire il campo velocemente e trovare gli uomini del tridente offensivo in situazione di parità numerica con i tre centrali di Gasperini, con tanto campo avanti a sé. Solo che questo sistema può reggere fin quando il pallone lungo viene servito basso e preciso, messo tra i piedi degli esterni offensivi che vengono tra le linee; oppure fin quando viene lanciato alto e lungo in direzione di un giocatore che può controllarlo, può addomesticarlo, magari reggendo il confronto fisico con gli avversari. Nella gara di campionato giocata a ottobre, fu Osimhen a impersonare il ruolo di pivot offensivo. E funzionò, eccome se funzionò.

Ieri sera il nigeriano non c’era. O meglio, era ancora impresentabile. Eppure Gattuso ha scelto di applicare la stessa strategia – questa e nessun’altra – schierando un tridente composto da Politano, Lozano e Insigne. Ovvero, tre giocatori che non superano il metro e 74 (l’altezza di Lozano). Mentre tutti i loro avversari diretti – Toloi, Romero, Djimsiti – erano alti almeno un metro e 85.

Un doppio esempio di costruzione del Napoli: prima un tentativo di gioco verticale su Insigne, poi una manovra più ragionata, subito stoppata dal pressing dell’Atalanta. È andata in questo modo per tutta la partita.

Tutte le squadre del passato che hanno vinto con un approccio pragmatico e/o puramente difensivo – la Juventus di Allegri, l’Inter di Mourinho, l’Italia di Bearzot o l’Argentina di Maradona e Bilardo, se vogliamo andare molto indietro nel tempo – avevano un piano offensivo. Dei meccanismi da sfruttare per vincere le partite, non solo per non perderle. Anche qualcosa di semplice ed elementare che potesse sfruttare le caratteristiche dei loro migliori giocatori – si pensi alla classica giocata della Juve 2016-18, che crossava continuamente per la testa di Mandzukic appostato sul secondo palo. Il Napoli visto contro l’Atalanta è mancato anche di questo. Al netto del gap fisico – ma anche tecnico-tattico – con gli avversari di turno, al netto delle assenze e dei ritardi di condizione, è stato evidente fin dal primo istante di partita che il piano predisposto da Gattuso non poteva funzionare.

E non poteva funzionare per un motivo molto semplice: i giocatori a disposizione in questo momento non sono in grado di giocare in questo modo. Non solo i tre attaccanti di cui abbiamo già detto, ma anche i due laterali a tutta fascia (né Di Lorenzo né tantomeno Hysaj hanno le qualità offensive di Gosens, di Cuadrado, di Hakimi), i due centrocampisti e i tre difensori centrali (Demme e Bakayoko, così come Maksimovic, Manolas e Koulibaly non hanno qualità di impostazione sul lungo).

Non a caso il migliore in campo – anche in fase offensiva – è stato David Ospina, sempre sicuro con il pallone tra i piedi, a parte un errore di misura nei primissimi minuti di gioco. Anche contro la Fiorentina, poco più due settimane fa, il Napoli applicò lo stesso piano gara in fase offensiva. Ma nel ruolo di punta c’era Petagna, e oltretutto i difensori della Fiorentina non erano forti e rapidi e attenti come quelli dell’Atalanta.

Tra sopravvivenza e rinuncia al gioco

Nel postpartita, Gattuso ha detto di aver operato tutte queste scelte perché «non c’erano i centrocampisti per giocare in un altro modo». E perché «si gioca ogni tre giorni, e se Petagna si fa male non abbiamo nessun altro». Tutto vero, tutti dati di fatto – se non fosse che il Napoli ha in rosa Lobotka, un centrocampista praticamente mai utilizzato. Insomma, Gattuso ha delle giustificazioni, per questa partita e anche per quelle precedenti – ne abbiamo parlato lungamente in questa rubrica. E quindi ci sta che la scelta di un piano gara così difensivo, in questo momento, possa essere considerata un’extrema ratio, un puro mezzo di sopravvivenza perché i risultati non peggiorino, in attesa dei rientri di Osimhen, Mertens e Fabián Ruiz.

Più difficile, però, giustificare il fatto che questa squadra sia costretta ad annullarsi in maniera tanto marcata ed evidente per portare a casa il risultato. Facciamo qualche esempio del passato per far capire cosa intendiamo: con Ancelotti in panchina, il Napoli ha spesso utilizzato un sistema liquido con tre difensori centrali, ma aveva un piano offensivo teso a sfruttare le qualità dei giocatori scelti dal centrocampo in su; lo stesso Napoli di Gattuso ha vinto la Coppa Italia con un atteggiamento difensivo estremamente compatto, ma anche con chiari obiettivi di gioco una volta riconquistato il pallone – nella fattispecie, la ricerca anche esasperata della costruzione bassa e poi della ripartenza veloce in campo aperto, quando possibile. Oggi tutto questo non c’è. Il Napoli è un’entità mutevole, ma lo è solo in chiave difensiva. Nel frattempo, manca completamente di idee e riferimenti in fase offensiva.

Conclusioni

Come abbiamo scritto già più volte in questo spazio, tutti questi equivoci tattici nascono da una rosa costruita in modo a dir poco incoerente. E dal fatto che l’equilibrio trovato da Gattuso a inizio stagione sia stato cancellato dagli infortuni, dalle assenze. Ora si tira a campare con quello che c’è a disposizione, e il problema è che anche il tecnico calabrese sembra essere molto confuso – in pratica, aggiunge confusione a confusione. Al punto da rifugiarsi, letteralmente, in soluzioni come quella vista ieri sera.

È evidente che in queste condizioni – fisiche, tecniche, emotive – non si possa chiedere di più a questa squadra e a questo allenatore. Solo i risultati, e in questo senso lo 0-0 raccolto contro l’Atalanta è un segnale incoraggiante. Ma servirà qualcosa di più per andare oltre, per superare la paura di perdere. È proprio questa la sensazione che guida il Napoli in questa fase di transizione apparentemente infinita, una fase che sembra incapace di puntare a un obiettivo tattico o progettuale oltre la semplice sopravvivenza a sé stesso. Il problema è che per vincere o anche semplicemente fare bene in certe situazioni servono giocatori e allenatori con una forza emotiva e una qualità superiore. Del resto, dove non c’è o non può esserci la tattica, deve subentrare qualcos’altro. Solo che il Napoli non sembra possedere queste qualità suppletive, o almeno finora non ha mostrato di averne nella quantità necessaria.

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