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Totonno Juliano autodidatta tenace, napoletano settentrionale

Mai pizza e mandolino. Crebbe all’ombra di due malandrini: Sivori e Altafini. E al tempo delle grandi mezzali: da Bulgarelli a De Sisti. Fu corteggiato dal Milan

Totonno Juliano autodidatta tenace, napoletano settentrionale

Erano tempi di grandi mezzali. Bulgarelli, Juliano, De Sisti. Ai tempi di Mazzola e Rivera. Tra gli anni Sessanta, favolosi all’istante, e gli anni Settanta a zampa d’elefante.

All’università del bel gioco dell’opulenta Bologna, trottava Giacomino dai fianchi robusti, gambe toste, nutrite a tagliatelle e castrati. Non era Mazzola, non era Rivera, era tutt’e due e anche di più Bulgarelli. Correva a far danni ai portieri e alle donne.

La vita gaudente e l’aspetto piacente, il gioco elegante e un vigore assoluto. Fedele al Bologna, nessun’altra città l’avrebbe eletto a pascià. Un tortellino era il rotondo faccino, però occhi briganti per le avventure galanti.

Giungeva da notti esaltanti ai pomeriggi del calcio dominando la scena e superando la prova, quel Casanova. Non a caso aveva l’identico nome: Giacomo. Mezzala di grande talento.

Stregava il pallone col corteggiamento di seduttore assoluto. Dai talami al campo di gioco, Bulgarelli aveva le stesse movenze sicure e vincenti. Dalla Torre Maratona dello stadio felsineo, il capo-tifoso Villani soffiava nel megafono l’incitamento sovrano. “Onorevole Giacomino, salute!”. Esplodeva lo stadio Dall’Ara.

Giancarlo De Sisti, romano de Roma, bassino, sette polmoni, giocatore a Roma e Firenze e nel team nazionale cuciva paziente la trama del gioco. Razionale era l’andirivieni della sua corsa da un capo all’altro del campo. Un giocatore mai stanco.

Del centrocampista futuro ebbe De Sisti la visione totale di coprire ogni zona dalla difesa all’attacco. Mai un colpo di tacco. Tutto sostanza e costanza. Mezz’ala all’antica maniera, sgobbone di fantasia severa. Un nomignolo, Picchio. Trottola nel gergo romano. Trottolino operoso era Giancarlo di fiato spazioso.

Giocando in viola a Firenze, il suo cuore romanista gli procurò una memorabile svista quando affrontò la Roma. Sbagliò un gol fatto, vinto dall’emozione, ed evitò alla Roma la retrocessione.

Sotto il Garigliano, Totonno Juliano. Autodidatta tenace domava il vulcano di un tifo smanioso. Crebbe all’ombra di due malandrini: uno era Sivori, l’altro Altafini. Fu il condottiero orgoglioso e fedele di un Napoli audace che arrivò a sfidare la superbia dei potenti squadroni. Ne diventò capitano.

Antonio Juliano, classe 1943, nato a San Giovanni a Teduccio. Di quegli anni di guerra conservò i valori di un tempo di sacrifici e sudori. Il padre salumiere col duro lavoro di un onesto mestiere. Antonio ne ereditò il carattere, severo con se stesso e con gli altri, serio, orgoglioso, tenace. Un napoletano settentrionale della periferia orientale. Mai pizza e mandolino.

Ragazzino della Fiamma Sangiovannese, venne adocchiato da Giovanni Lambiase, talent-scout che girava il paese. Lo portò nelle giovanili del Napoli in cambio di un paio di palloni e di una muta di magliette. Conquistò il posto di titolare con la maglia numero otto e i gradi di capitano. Un giocatore-bandiera alla pari di Rivera nel Milan e di Bulgarelli nel Bologna.

Lo vorrebbe il Milan nel 1969. Ferlaino è tentato. Il club rossonero offre 800 milioni. Temendo una rivolta dei tifosi, l’Ingegnere chiede a Juliano di dichiarare di volere andare lontano, in una squadra più forte. Totonno rifiuta di prestarsi al gioco e la trattativa va a monte.

Nel 1975 sogna lo scudetto, traguardo perfetto. Protagonista assoluto ma sfortunato del match decisivo a Torino contro la Juve. Pareggia il gol del vantaggio bianconero di Causio. Il gran tiro da fuori area, di esterno destro, finisce nell’angolino alto della porta dell’amico Zoff. Il portierone, con cui aveva legato negli anni della permanenza napoletana del portiere friulano, gli nega il raddoppio: un altro tiro all’incrocio dei pali, ancora da fuori area, che Zoff va a parare con un gran volo.

Il Napoli che sfidò la Juve era la squadra di Vinicio. Ricorda Juliano: “Furono i miei anni più belli in maglia azzurra. Vinicio era un grande preparatore e un tecnico all’avanguardia, zona e pressing. Quel Napoli meravigliò tutti”.

Sedici anni nel Napoli, appassionati, di impegno costante, saltando poche partire per infortunio, regalarono a Juliano un solo trofeo: la Coppa Italia 1976 vinta in finale, a Roma, contro il Verona (4-0).

Dopo Sallustro, è stato nel dopoguerra il primo napoletano ad essere convocato in nazionale giocando 18 partite, inserito nella “rosa” di tre Mondiali: Inghilterra ’66, Messico ’70 e Germania ’74. In Messico giocò gli ultimi 16 minuti della finale contro il Brasile.

(10 – continua)

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