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Maradona non ingannò mai nessuno, solo se stesso

Apparve da Buenos Aires, sugli schermi televisivi, gonfio e malinconico, per dichiarare il vizio sovrano di cui ti eri fatto suddito triste

Maradona non ingannò mai nessuno, solo se stesso

Nacquero figli cui fu imposto il nome di Diego. Uno nacque che era proprio figlio tuo, partorito da una ragazza napoletana, il figlio maschio che Claudia non ti dette, e questo fu il tuo tormento segreto. Dopo lungo tempo, abbracciasti quel tuo figlio napoletano, Diego Armando Maradona junior.

Nostalgia e ricordo indimenticabile dei sette anni memorabili quando Napoli diventò Maradonapoli. I ragazzi di Napoli si fecero i capelli “alla Maradona” e chi non ci riusciva poteva comprarsi la parrucca di riccioli neri “alla Diego”. Diventasti Sangennarmando per un miracolo di gol e di amore. E la gente cantava: “San Gennà non ti crucciare / tu lo sai, ti voglio bene / ma ‘na finta ‘e Maradona / squaglia ‘o sanghe dint’’e vvene”. Cantavamo “O mama, mama, mama / sai perché mi batte il corazòn? / Ho visto Maradona, ho visto Maradona”. Tato Russo con le percussioni di Tullio De Piscopo realizzò un musical dedicato a te al Teatro Bellini. Quando vincemmo il primo scudetto, sul muro del cimitero di Poggioreale qualcuno scrisse con lo spray: “E nun sapite che vi site perse”. Gli inglesi Challis e Mylam girarono ottanta chilometri di pellicola per fare il film “Eroe” dedicato a te, eroe dei due mondi e un pallone. Una cantante moscovita cantò in tutta la Russia “Samba con Maradona”.

Tu continuavi ad andare in gol con palloni che erano comete. Poiché facesti gol nel cuore di una città intera, la città azzurra, dolorosa fu la scoperta del vizio bianco che ti allontanò dai prati del dribbling e dalle “rabone”. Drammatico fu il giorno della confessione del tuo peccato quando ormai te ne eri andato dalla città del golfo, tradito dall’imboscata di un controllo negli spogliatoi, e apparisti da Buenos Aires, sugli schermi televisivi, gonfio e malinconico, per dichiarare il vizio sovrano di cui ti eri fatto suddito triste. Solo una luce ancora viva negli occhi neri, il resto una devastazione montante, prigioniero senza più rimedio della perdizione bianca. Era cominciato come un gioco, una sfida folle e presuntuosa, e ti eri fatto divorare.

Ricordo triste, solitario y final di un ragazzo perduto che non ingannò mai nessuno, solo se stesso, Diego Armando Maradona, squalificato e arrestato, vilipeso e condannato, tutte le ingiurie del mondo sul tuo corpo diventato irriconoscibile e nella tua anima lacerata. Usato e gettato via. Fosti insultato a Roma nella finale mondiale persa dall’Argentina contro la Germania, perché così era stato deciso, e piangesti lacrime di rabbia e di ingiustizia patita. Fosti tradito a Boston, dopo il tuo ultimo gol mondiale, quando una donna bionda vestita di bianco, più un poliziotto che una infermiera, ti prese sottobraccio e ti accompagnò fuori dal campo per l’ennesimo colpo basso alla tua generosità e al tuo mito. Maledetti yankee.

Uscisti dal campo americano della resurrezione mancata e, dopo, facesti poche apparizioni di orgoglio e tenacia, schiavo dell’inganno della polvere di luna. Apparisti alla “Bombonera” di Buenos Aires nel giorno dell’addio al gioco della tua vita, residuo omaggio all’ultimo dribbling, alla folla, alla squadra dei tuoi sogni e a te stesso, mentre sugli spalti a strapiombo sul terreno ricoperto di coriandoli fu srotolato un drappo grande come un palazzo con su scritto: “Gracias, Diego”.

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