ilNapolista

Essere Paratici: il Mister Wolf della Juve costretto a fare la figura del dilettante

È un lavoraccio: risponde direttamente ad Agnelli, comporta sacrifici e avvisi di garanzia. A settembre sul caso Suarez diceva: non so proprio chi possano essere i “corruttori”…

Essere Paratici: il Mister Wolf della Juve costretto a fare la figura del dilettante

Quando a settembre il caso Suarez è scoppiato in faccia alla Juve, senza peraltro che la Juve tradisse una sola emozione, un attimo prima che Cantone spegnesse i microfoni Fabio Paratici rispondeva così alla domanda su chi potesse mai essere il presunto corruttore dei probi universitari di Perugia:

“Non sono né un magistrato né un poliziotto. Non conosco nemmeno bene questo tipo di situazioni, non mi sono fatto nessun tipo di idea”

Ora Paratici è indagato per aver reso “dichiarazioni false” ai pm sul famigerato esame truffa dell’attaccante uruguaiano. La pena prevista è la reclusione fino a quattro anni.

L’uomo che conobbe Giuntoli rimorchiando straniere alle stazione di Firenze ha passato le ultime settimane e gestire il peso di una carica – managing director dell’Area Football della Juventus – che lo pone appena al di sotto di Agnelli. Una promozione datata appena 15 ottobre, frutto dell’instancabile lavoro da Mister Wolf che l’ex esperto maniacale di mercato ormai svolge per il club. S’è persino preso un’ammenda da 15.000 euro per aver violato la sacralità dello spogliatoio dell’arbitro, nell’intervallo della partita col Verona, per offenderlo un po’.

Essere Paratici è un lavoraccio, comporta sacrifici e figuracce, ostentazione delle mezze verità, la faccia giusta al momento giusto. E il silenzio, a volte sul filo del rasoio penale.  

Prendete la Juventus al 10 agosto. Di venerdì sera aveva confermato a pieni polmoni Sarri, il venerdì notte era fuori dalla Champions, il sabato nel primo pomeriggio ha esonerato Sarri, e sabato nel secondo pomeriggio ha ufficializzato Pirlo. Una domenica in mezzo per assorbire il minimo sindacale di contraccolpi mediatici (in generale analisi morbidose, con pochissimi spigoli) per poi presentarsi alla riapertura delle Borse il lunedì in piena celebrazione di “Pirlolandia”. Il fallimento, l’esonero, la rivoluzione ribaltata… tutto finito. Capolavoro. Ecco, dietro questo modo così juventino di gestire la comunicazione, c’è Fabio Paratici.

A Paratici, in quell’occasione, toccò fare la figuraccia del dilettante, battezzato tale dallo stesso Sarri nella ormai famosa conferenza stampa pre-Lione: passare non solo per il rappresentante ufficiale di una dirigenza che giudica un’intera stagione riducendola ad una sola partita (peraltro vinta, non se ne farà mai una ragione Sarri), ma pure per quello che perorava strenuamente la causa della continuità. In tv, più e più volte, a dichiarare con una tigna ammirevole “Avanti con Sarri, s’è meritato la Juve”. Dieci minuti prima del fischio d’inizio di Juve-Lione metteva a verbale su Sky:

“Ha ripetuto esattamente quello che ho sempre detto io, i giudizi di una stagione, per allenatori e calciatori, non sono mai presi in base ad una singola partita. Se andremo avanti con Sarri? Certo”

24 ore dopo, era davanti agli stessi microfoni a precisare che “era già tutto deciso prima”. Con una faccia di bronzo di Riace, implacabile. E nessuno dallo studio che rinfacciasse il ribaltone, anche solo per fare un po’ di caciara, per non farsi trattare da passacarte. No. Anzi: il salottino di Sky dedicava l’intero pre-partita di Barcellona-Napoli (una partitella estiva qualunque, ve la ricordate?) – ma proprio tutto tutto – a dibattere di Pirlo e farsi spiegare da Paratici quanto quella fosse una scelta “naturale” e “perfettamente juventina”. Nell’elencazione delle discrepanze tra magia comunicativa e realismo interessa più che altro ribadire il ruolo di Paratici. Una statua.

Il nesso apparente con le dichiarazioni (non) rese alla Procura sul caso Suarez è puramente metodologico: così faceva, così si fa. Essere Paratici è questa roba qua.

Nell’occasione non si lasciò insolentire, anche perché in pochissimi per la verità provavano a farlo. Lui ricordava allo studio che lì si era tra “persone di calcio, tutta gente di livello”, e quelli annuivano ricordando che l’uomo che s’era sputtanato la credibilità poche ore prima confermando un allenatore poi esonerato in un battibaleno, era ora il sogno proibito di mezza Serie A. Una giostra.

Di nuovo, per reggere lo “stai sereno Maurizio”, ci vuole la classe di Michael Corleone che bacia Fredo prima di farlo ammazzare. Non ci si improvvisa. Bisogna essere Paratici, un professionista con una storia professionale blindata.

L’uomo che mentre fa la gavetta con Lorenzo Marronaro, incontra a tavola Marotta, già dirigente alla Sampdoria, e lo conquista elencando una serie infinita di calciatori sconosciuti descrivendone minuziosamente caratteristiche e doti tecniche. Il fante di Marotta che con – e senza di lui – vince nove scudetti di fila. L’esecutore materiale dell’acquisto di Cristiano Ronaldo, servitogli su un piatto d’argento da Mendes. Non è uno qualunque, Paratici.

C’è una bellissima intervista firmata nientemeno che da Walter Veltroni per la Gazzetta dello Sport – febbraio 2019 – in cui Paratici racconta i dettagli di tranelli e trattative, parla di sé, dice che essere Paratici è “il lavoro più bello del mondo” ma è pure una gran fatica. Per chi si domandasse senza troppi preconcetti cosa significa fare il capo del mercato di una società come la Juve, è una lettura istruttiva.

“Vedi solo le partite, i calciatori, fai un po’ di trattative, vai in giro per il mondo. Però, se sbagli giocatore, la colpa è del direttore sportivo. È bellissimo”

Dice che la sua è “una vocazione. Come fare la suora, ma nel calcio”. E che

“un buon osservatore è come un rabdomante, un cacciatore di opere d’arte contemporanea. Io finirò la mia carriera facendo quello: prima o poi andrò al settore giovanile per stare fino alle sette di sera a vedere un ragazzino che stoppa bene la palla e a lavorare perché migliori”

Ma il passaggio più bello è quello sugli allenatori, all’epoca c’era Allegri:

“Allegri ha una visione del gioco che non è statica. Spesso gli allenatori vedono il calcio in un modo, perseguono quello e cercano di continuare ad andare su quella strada, indipendentemente dal contesto. Conte, essendo molto juventino, è stato perfetto per quell’epoca. Conte aveva la juventinità – lavoro e voglia di vincere – nel suo Dna. Allegri invece ha assimilato la juventinità, ne ha presa molta. Lui è migliorato, ma allo stesso tempo ha portato a noi quella leggerezza che noi non avremmo avuto e non avevamo”.

Domanda: quindi Allegri resta?
Risposta:

“Certo che resta. Non vedo proprio un allenatore migliore”.

Vi ricorda qualcosa quel “certo”? Ecco. A fine anno Allegri va via, arriva “un allenatore migliore”: Maurizio Sarri.

Viene la sciatica a sopportare fardelli del genere, posizioni che prevedono la messa in discussione preventiva della propria parola, la sua perdita di significato, fino alla sua negazione: accusato di dire il falso da un Pm. Paratici è un professionista impermeabile, altro che “dilettante”. Ha speso per la causa Juve le sue due o tre facce, passando per dilettante e ora per indagato. Essere Paratici è un vero casino.

ilnapolista © riproduzione riservata