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Sarri dà del dilettante alla storia della Juventus, dove “vincere è l’unica cosa che conta”

Sente il terreno franare sotto i piedi e si agita con le parole, prova in extremis a vestire di nuovo i panni del rivoluzionario. È sempre più l’Ufo descritto da Ronaldo

Sarri dà del dilettante alla storia della Juventus, dove “vincere è l’unica cosa che conta”
Juventus' Italian coach Maurizio Sarri gestures during the Italian Serie A football match SS Lazio vs Juventus FC. (Hermann)

“Al di là del risultato” risuona nella sala stampa con l’eco di una bestemmia. Lì dove “la vittoria è l’unica cosa che conta” è citazione mandata a memoria, anche solo per guadagnarsi l’accesso in casa Juve. Maurizio Sarri ha parlato di sponda sul povero giornalista che osava chiedere lumi sul suo destino attaccato ad una partita di Champions: “Stai dicendo che i nostri dirigenti sono dei dilettanti”. I quali – come dei dilettanti, è implicito – “si lasciano trasportare dall’emotività manco fossero dei tifosi”. Invece, ammette, la scelta magari “è già stata fatta al di là del risultato della partita”.

Non c’è bisogno di aspettare il “risultato” per “dire che Maurizio Sarri non sarà l’allenatore della Juventus il prossimo anno”, scrive su Twitter Maurizio Crosetti. Hanno giustappunto “già deciso proprio perché non sono dilettanti”. E non c’è bisogno di aspettare la sentenza Champions nemmeno per scrivere questo pezzo, in cui ci si interroga su quanto possa considerarsi “da dilettanti” competere per “il risultato” senza però sottomettersi alla sua dittatura. Col santino di Boniperti in mano, alla Juve si stanno ancora chiedendo che cavolo stesse dicendo Sarri. Di che diavolo parla quell’eretico? Mette in discussione il “risultatismo”? Qui, proprio qui da noi?

Nella repubblica della suscettibilità, trenta secondi dopo la pubblicazione della risposta piccata, è intervenuto nel dibattito – evidentemente sentitosi chiamato in causa – nientemeno che il presidente della Lega Nazionale Dilettanti, Cosimo Sibilia. Chi più di lui… E s’è a sua volta risentito:

“Lo abbiamo celebrato ricordando la sua carriera di allenatore iniziata con la Lega Dilettanti. Mister Sarri: essere dilettanti, almeno nel calcio, non è un’offesa ma un pregio”.

Sarri non intendeva disfarsi del suo curriculum, tante volte in passato rivendicato (quello nel quale le promozioni valgono come scudetti), proprio lui che ha cesellato in tanti anni la sua immagine di uomo del popolo che viene dal basso per togliere ai ricchi i titoli da dare ai poveri. Figurarsi. L’ignominia eventuale era però rivolta ai suoi stessi dirigenti, in un tentativo un po’ casareccio di damage control: se perdo col Lione e mi cacciate, fate la figura del tifosotto col ciclo; se invece vinco e mi cacciate lo stesso, passate dalla parte del torto. Sarri, in cuor suo, spera di infilare il tunnel-Pioli: vincere così tanto e così a lungo da rendersi non-licenziabile, a dispetto di tutto. Spera nell’imbarazzo del risultato, proprio mentre fa finta di snobbarlo.

Perché oltre al Sarri ufficiale, che vince lo scudetto (quasi in contumacia) e che si gioca ancora l’accesso alla fase finale della Champions – tranne che alla Juve, a queste condizioni sarebbe intoccabile ovunque – esiste un Sarri percepito. Il protagonista di uno spinoff nel quale il tecnico ha paura di tutto, è scaramantico al limite del patologico, è abbastanza naif da atteggiarsi a establishment mentre fa di tutto per sostenere il peso del rivoluzionario che aveva incantato Napoli. E che finisce per sparlare, dipingendo una dirigenza bianconera che ragiona “al di là del risultato”, da “dilettante”. Proprio l’ufo di cui parlerebbe Ronaldo, secondo France football. Sarri è così, è basculante.

Solo che questa straniante volata stagionale lo ha travolto: ha vinto perdendo la faccia, ha dismesso l’armatura intellettuale dell’uomo al comando per farsi democristiano, in una continua ricerca della mediazione. Per dirla con Sconcerti:

“Si è capito che il Sarrismo era finito a Montecarlo quando Sarri è andato sullo yacht di Ronaldo a chiedergli di fare il centravanti, con rifiuto dell’altro”.

E ora sparpaglia segnali di fumo, tradendo una tensione su più fronti: non vuol lasciare la poltrona che pensa intimamente di meritare (glielo ha riconosciuto pubblicamente Paratici che infatti potrebbe saltare con lui), e strepita per farsi riconoscere i meriti di uno scudetto vinto (“il campionato più difficile della storia“) e di un’Europa ancora (chissà) in piedi. Ha solo sbagliato strategia, se non scelte lessicali: Sarri è proprio nel punto in cui il risultato è la sua scialuppa di salvataggio. Se vale solo quello – e alla Juve funziona così a meno di clamorose retromarce ideologiche – allora avrebbe dovuto puntare tutto sulla monocrazia della vittoria, fino a prova contraria. Nella prospettiva ottimistica che il Lione non gli faccia lo sgambetto.

Sta tutto lì. Sarri s’è messo nella scomoda posizione del dilettante – mo ce vo’ – impaurito, incapace di far valere l’unico argomento che a Torino trattano con riguardo: sì, i risultati. Al di là, dovrebbe saperlo, non c’è altro. Torino è piatta, oltre l’orizzonte si cade giù.

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