Baggio: «Oggi i ragazzi crescono programmati. I piedi hanno perso la libertà di giocare senza pensare»
A Repubblica: «Noi improvvisavamo. La mia generazione è stata l'ultima dei bambini autodidatti, che passavano infanzia e giovinezza a prendere a calci un pallone per la strada, solo per giocare e divertirsi»
A Repubblica: «Noi improvvisavamo. La mia generazione è stata l'ultima dei bambini autodidatti, che passavano infanzia e giovinezza a prendere a calci un pallone per la strada, solo per giocare e divertirsi»
Roberto Baggio ricorda Paolo Rossi in un’intervista a Repubblica.
«Avevo 11 anni, e la domenica mio papà Florindo mi caricava sulla canna della sua bici. Venivamo a Vicenza per vedere giocare un ragazzo sconosciuto che si chiamava Paolo Rossi. In inverno, dopo 12 km di pedalate, arrivavo allo stadio Menti congelato. Però guardando quell’attaccante gracile e coraggioso, già più forte di tre interventi alle ginocchia, ho cominciato a sognare anch’io e non ho ancora smesso. Se sono diventato calciatore lo devo a lui: non aveva un fisico perfetto, come me, però mi ha suggerito il valore prevalente del cuore e del cervello».
L’ultima volta che si sono incontrati è stata in Cina.
«Ci sono stati lo spazio e il silenzio per parlare di noi, di quanto le nostre esperienze siano state simili, delle cicatrici che il successo incide sugli esseri umani. Parlammo anche della voglia di fare qualcosa insieme per un futuro più sostenibile, soprattutto nel calcio. Posso dire che lui, usando il termine sostenibilità, si riferiva a una cultura».
I racconti del passato si incrociano con le differenze con il presente. E con i paragoni tra generazioni.
«Noi, pur con oltre dieci anni di differenza, siamo stati di un’altra generazione. Penso che la mia sia l’ultima dei bambini autodidatti, che passavano infanzia e giovinezza a prendere a calci un pallone per la strada, solo per giocare e divertirsi. Oggi i ragazzi, fin dall’inizio, hanno a disposizione molti più dati per allenarsi e molti più schemi per trovare il loro posto sul campo. Crescono programmati. Noi improvvisavamo, non sapevamo niente degli altri: forse il problema dei piedi è aver perso la libertà di giocare senza pensare».