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Il Napoli contaminato di Gattuso

L’allenatore ha abbandonato la visione meccanica per una che necessità della capacità di saper annusare la partita. Sarebbe una trasformazione culturale

Il Napoli contaminato di Gattuso

Il contesto giusto per il Napoli

La partita e la sfida tattica tra Napoli e Roma si sono concluse nel momento del gol di Mertens, quello del 3-0. In realtà la rete del belga (come quella di Politano) è stata solo il suggello di una superiorità netta, che come al solito si può rintracciare nei numeri: la squadra di Gattuso ha concesso un solo tiro in porta alla Roma, scoccato tra l’altro da Dzeko dal limite dell’area senza creare alcuna apprensione a Meret; l’unica occasione vera dei giallorossi è stata quella di Cristante, un destro sbilenco da pochi metri nato su palla da fermo. Dall’altra parte del campo, invece, il Napoli ha tirato 8 volte (su 14 tentativi) nello specchio difeso da Mirante; 2 di queste conclusioni (quella di Mertens nel primo tempo e quella di Lozano nella ripresa) sono da considerare delle big chance, vale a dire delle opportunità ad alta percentuale di realizzazione.

Il Napoli, dunque, ha vinto largamente e meritatamente, al netto delle enormi difficoltà della Roma – la condizione a dir poco precaria di Dzeko, le assenze, gli infortuni di Mancini e Veretout nel primo tempo. Ci è riuscito perché Gattuso ha deciso di affrontare i giallorossi creando il contesto giusto per i giocatori che ha a disposizione. Il tecnico del Napoli ha preparato questa partita, ha adottato delle soluzioni pensate per affrontare la Roma, per battere la Roma. E anche per assecondare i segnali e le necessità dei suoi giocatori in questo momento. Vediamo come si sono manifestati tutti questi cambiamenti nella prima gara di Serie A giocata allo Stadio Diego Armando Maradona – non credo vi dispiaccia se lo chiamiamo già così; che poi, ripensandoci: quanti altri stadi al mondo sono stati rinominati in maniera così sicura e rapida? E perché non dovremmo adattarci con la stessa rapidità?

Il ritorno del 4-3-3

La prima scelta “nuova” di Gattuso è stata il ritorno al 4-3-3/4-5-1. Era dalla gara di Parma, esordio in campionato degli azzurri, che il Napoli non scendeva in campo con questo sistema di gioco. Come detto prima, si è trattata di una decisione dettata dalle contingenze, dall’assenza di Osimhen, ma forse anche dalla necessità di restituire alla squadra maggiore equilibrio e maggiori sicurezze, soprattutto in due situazioni particolari: la costruzione dal basso e la copertura degli spazi. Su questo punto, il tecnico azzurro è stato chiaro nel postpartita: «Il vertice basso a centrocampo ti fa difendere meglio contro chi vuole imbucare tanto il pallone». Il riferimento è al gioco della Roma, Fonseca infatti vuole che i suoi giocatori cerchino insistentemente il pallone dietro le linee di pressione, soprattutto per servire i due trequartisti – Mkhitaryan e Pedro – schierati alle spalle della prima punta.

Il 4-3-3/4-5-1 del Napoli: in alto, il classico scaglionamento in fase difensiva, con Mertens che guida il primo pressing e Demme nello slot di vertice basso; sopra, Manolas porta palla con Demme in posizione di pivote; Fabián e Zielinski si muovono da mezzali, tridente puro in avanti.

In realtà, lo stesso Gattuso ha aggiunto che il sistema di gioco utilizzato contro la Roma era molto più fluido rispetto all’interpretazione rigida della scorsa stagione. Il giocatore-cuneo tra centrocampo e mezzi spazi in attacco, tra 4-3-3 e 4-2-3-1, è stato Piotr Zielinski: il polacco si è mosso come mezzala, ma spesso era l’uomo tra le linee dietro Mertens. Anzi, per descrivere la posizione che ha assunto diverse volte nel corso della gara, Gattuso ha utilizzato proprio il termine «sottopunta».

In questo frame, il Napoli imposta col doble pivote: Fabián e Demme sono sulla stessa linea, mentre Zielinski è dietro la linea di centrocampo della Roma.

Un’altra differenza rispetto al 4-3-3/4-5-1 dello scorso anno va ricercata nella tendenza più spiccata alla verticalizzazione. I numeri confermano questa sensazione: il Napoli ha tentato 34 passaggi lunghi, una cifra superiore alla media tenuta in questa stagione di Serie A (29,5 per match) e a alla media dell’ultimo campionato (27). Insomma, il Napoli ha cercato di tenere il possesso, e in larghi tratti della gara c’è anche riuscito (63% per gli azzurri nel primo tempo, 53% al 90esimo); ma ha anche dimostrato anche di aver sviluppato nuove conoscenze, di poter padroneggiare strumenti diversi.

In questo senso, la prestazione di Lozano, così come la percezione della sua presenza nella squadra di Gattuso, sono state incoraggianti. Nonostante il Napoli abbia attuato una strategia orientata (di nuovo) al possesso ricercato, ad accorciare piuttosto che ad allungare il campo, l’esterno messicano è stato comunque nel vivo del gioco. Lozano non ha giocato una grande partita. Ma è stato cercato, è stato servito, con alcuni dei lanci lunghi di cui abbiamo appena parlato. Si vede chiaramente in questo video, che raccoglie tutti i palloni che ha toccato durante la partita contro la Roma.

Tutt’altra cosa rispetto a Callejón

L’importanza della varietà

È questa la chiave perché si possa spremere il meglio dalla rosa del Napoli: varietà di gioco, di possibilità e di soluzioni; partita per partita, ma anche all’interno della stessa partita. Come detto sopra, la costruzione della strategia per la gara contro la Roma è partita dalla necessità di sostituire Osimhen.

L’esatto contrario di quanto successo prima di Napoli-Milan: una settimana fa, su questo sito, avevamo scritto che la scelta di praticare un calcio verticale senza l’attaccante nigeriano «aveva finito per rendere inoffensivi Mertens e Insigne», e che «le contingenze avrebbero dovuto spingere Gattuso a varare un sistema diverso, a puntare su un possesso meno frenetico, più ricercato»; il tecnico del Napoli è andato esattamente in questa direzione, impostando un piano-partita che ha esaltato Mertens, Insigne, Zielinski. Ma che, al tempo stesso, non ha tagliato fuori Lozano, anzi ha permesso al messicano di esprimersi bene. O, quantomeno, secondo il suo stile, senza stravolgere troppo le sue caratteristiche.

Questo piano è risultato funzionale perché era, appunto, misto. Ci sono stati passaggi corti e lanci lunghi, come detto prima; la fascia sinistra è stata (di nuovo) quella più utilizzata per creare il maggior numero di azioni (45%), ma spesso anche la posizione ibrida di Zielinski e la sua capacità di strappare sono state una fonte di gioco importante per il Napoli. Come quando, al 42esimo minuto, il polacco ha offerto a Mertens un pallone perfetto dopo una bellissima manovra tutta in verticale. Il tiro del belga è stato parato benissimo da Mirante – che, va detto, non è che abbia vissuto una grande serata allo stadio Maradona.

Una bellissima azione

Questi pochi secondi potrebbero diventare un’emblema del “nuovo Napoli”. Perché raccontano la possibile combinazione-contaminazione di due idee di gioco, quella del possesso palla e quella del calcio diretto. Il Napoli, infatti, parte dal basso con uno scambio e poi trova subito l’uomo tra le linee, in verticale, in questo caso si tratta di Zielinski; il polacco si gira e punta velocemente verso la porta avversaria, con Insigne (e Lozano in basso a destra) che si muovono sul filo del fuorigioco, o anche oltre, per allungare il campo; Mertens è nella sua comfort-zone, nel mezzo spazio di centrosinistra, ma poi capisce che Zielinski andrà fino in fondo; per questo, allora, il belga decide di attaccare pure lui la profondità, e lo fa con i tempi giusti. A quel punto, gli schemi difensivi della Roma sono saltati e il Napoli ha una grande occasione.

Una bellissima azione/2

Come si vede in quest’altro video, anche nel secondo tempo Zielinski ha ripetuto la stessa identica giocata e ha creato i presupposti per un’altra occasione da gol nitida. In questa azione, il polacco riceve il pallone in una posizione molto diversa, più arretrata, è sulla stessa linea di Demme – mentre Fabián Ruiz è in proiezione offensiva. Questa situazione, però, non inibisce Zielinski, non lo scoraggia a puntare verso l’area palla al piede: supera Mkhitaryan di slancio, poi anche Villar; Mertens non allunga il campo (ancora una volta), piuttosto si muove da attaccante associativo; il belga riceve il pallone, lo scarica su Lozano; il messicano potrebbe chiudere il cerchio con un assist a Zielinski – di nuovo eccellente nell’attacco alla porta come sottopunta – per chiudere l’azione; solo che sbaglia la valutazione, decide di tirare in porta. E Mirante para.

È chiaro che per il Napoli non sarà possibile giocare sempre in questo modo – soprattutto quando con Osimhen in campo. Ma il punto è proprio questo: la presenza di calciatori così vari – e così forti – in rosa permette(rebbe) a Gattuso di creare situazioni sempre differenti. Anche contro il Rijeka – seppur in un contesto tecnico-emotivo completamente diverso – il primo gol del Napoli è nato da una percussione centrale di Zielinski, da un movimento tipico di un sottopunta. Nella gara contro i croati, il polacco ha interpretato questo ruolo in maniera più rigida, meno fluida, e questo è un altro segnale rispetto a quanto chiede la rosa di Gattuso al suo stesso allenatore: varietà, varietà e ancora varietà. Il Napoli è una squadra morta, dal punto di vista tattico, quando non riesce a essere imprevedibile.

La solidità difensiva

La ricerca continua della varietà-imprevedibilità in fase offensiva è un obiettivo tattico ambizioso. Il Napoli, però, sembra poterlo perseguire. Perché ha degli ottimi numeri difensivi: gli uomini di Gattuso sono al secondo posto in Serie A dietro la Roma per numero di tiri concessi agli avversari (9,3 per match, 9,2 contro i giallorossi); inoltre hanno la miglior difesa del campionato sul campo (7 gol subiti in 9 gare, più quelli incassati “a tavolino” nel match non disputato contro la Juve) insieme a quella della Juventus e del Verona.

Dati tratti dal sito della Lega Serie A

Anche ieri sera gli azzurri hanno dato prova di grande solidità arretrata: baricentro posizionato alto, a 48 metri, come si vede dal grafico sopra, e poi ottima prestazione dei difensori e grande contributo nei ripiegamenti da parte di tutti i giocatori offensivi. Il migliore di tutti in questo fondamentale è stato Fabián Ruiz. Lo spagnolo è risultato essere il primo, nella squadra di Gattuso, per contrasti ingaggiati (4) e palloni recuperati (5).

Pure questo è un segnale: nonostante risultati e prestazioni altalenanti, soprattutto nell’ultimissimo segmento di stagione, tutti i calciatori della rosa sono pienamente coinvolti in un progetto di gioco che funziona, che ha equilibrio. Che magari non sarà stato e non potrà essere brillante come in certe gare di questa stagione – la sensazione di dominio tattico provata durante Napoli-Atalanta non è stata più avvertita così forte, neanche nel match contro la Roma – ma è anche una questione di situazione favorevole, di condizioni che cambiano, e che vanno accettate. Tutto questo è mancato contro il Milan, contro il Sassuolo, contro l’AZ Alkmaar.

Conclusioni

Nel postpartita di Napoli-Roma, intervistato da Sky, Gennaro Gattuso ha detto che «i giocatori del Napoli devono saper annusare il pericolo, e, a volte, mettersi lì, chiudersi e giocare da squadra. Se hai questa mentalità, puoi vincere le partite anche quando stai male». È un concetto importante, che in questo articolo vogliamo tradurre così: i giocatori del Napoli devono accettare che, a volte, si possa giocare male; oppure che si determini un contesto a loro sfavorevole.

Partendo da queste parole, e analizzando le le sue scelte – certamente dettate anche dalla necessità di far ruotare gli uomini dell’organico – Gattuso sembra aver compreso l’aria che tira. Sembra aver recuperato l’idea di un Napoli elastico. Di una squadra con un sistema difensivo funzionale e funzionante, che è una base da cui partire per costruire un piano partita che possa essere diverso. Anche per tutte le gare.

Il Napoli deve saper leggere la situazione contingente e interpretarla, partendo dai segnali interni, modellandosi in base a quelli; e poi ci sono gli avversari, i momenti negativi, gli episodi che girano, tutte cose che possono – anzi: devono – essere metabolizzate e governate. Non attraverso un calcio meccanico come avveniva in passato, oggi la rosa è diversa, è più ibrida, e allora questo controllo tattico ed emotivo va esercitato attraverso rotazioni di moduli e di uomini, passando  scelte che poi determinano modifiche tattiche sostanziali. Sarebbe una vera e propria trasformazione culturale per il Napoli. E proprio per questo si tratta di un progetto difficile, rischioso. Non è anormale aver paura dei cambiamenti, figurarsi di cambiamenti continui e ripetuti. Ma questa rivoluzione potrebbe portare la squadra di Gattuso a essere una delle più imprevedibili della Serie A (e dell’Europa League). Ne potrebbe valere la pena, ecco.

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