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Ferlaino: «Sono stato il carceriere di Maradona. Tapie mi spedì un assegno in bianco, lo strappai»

Al CorSport e Repubblica: «L’addio di Maradona non è un lutto ma è una disgrazia per Napoli, nei suoi sentimenti, e più in generale per chi ama il calcio»

Ferlaino: «Sono stato il carceriere di Maradona. Tapie mi spedì un assegno in bianco, lo strappai»

Il Corriere dello Sport e Repubblica intervistano l’ex presidente del Napoli, Corrado Ferlaino. È stato lui a portare Maradona a Napoli, a renderlo irrimediabilmente figlio di questa città. Ieri, intervenuto al telefono a Sky Sport, ha fatto fatica a trattenere le lacrime.

«Lui è stato la mia vita e quella di Napoli» racconta al Corriere dello Sport. E ancora:

«Ho detto e lo ripeto: sono stato il suo carceriere. E un genio del genere, ad un certo punto, ovviamente vuole essere liberato dai lacci o da quella che sembra sia diventata una prigione. Cerca nuove ispirazioni in altre terre. Da Marsiglia, Tapie mi disse: ti mando l’assegno firmato, ci metti tu la firma. E io, quando arrivò la busta strappai tutto. Non mi interessava venderlo, non avevo alcuna intenzione, anche se intuivo che quell’epoca prima o poi sarebbe finita. Ma ce la siamo goduti finché abbiamo potuto e abbiamo rivinto pure il campionato».

Grazie a Maradona, Napoli riuscì a rivoluzionare il calcio.

«Il primo scudetto rappresenta lo spartiacque tra due epoche o anche la data storica in cui viene capovolto il potere. Il calcio ha avuto ed ha sempre un potere sociale che non può essere ignorato e quella squadra ha saputo prendersi la Storia. Mi sento un uomo fortunato, sono stato il suo presidente. E Diego è stata la stella di una città che non smetterà mai di piangerlo. L’addio di Maradona non è un lutto ma è una disgrazia per Napoli, nei suoi sentimenti, e più in generale per chi ama il calcio».

A Repubblica Ferlaino racconta come ha saputo della morte di Maradona.

«Mi hanno telefonato alle 17.30, ero in riunione. “Ingegnere, è morto Diego”. Non sono un uomo che piange. Però, ecco… ora sono distrutto».

Il peso che portava addosso Diego era più grande di lui, dice.

«Avvertiva sulle spalle il peso di una città intera che lo osannava. Era un fardello più grande di lui, sopportarlo non è facile per nessuno, figuriamoci per un ragazzo. Ma quando scendeva in campo, era solo per vincere. E io voglio ricordare solo il Maradona che ha giocato nel Napoli, il resto non mi interessa».

C’è una cosa, confessa, che non è mai riuscito a dire a Diego.

«Lo faccio adesso, guardi: ti voglio bene, Diego. Come te ne vorranno sempre tutti i napoletani».

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