ilNapolista

La Premier scopre il patto di sindacato. In UK lo chiamano golpe: una riforma in cui 6 voti ne battono 14

Nel calcio inglese è scoppiata “la guerra civile”: soldi alle serie minori in cambio di potere assoluto. Premier a 18 squadre. Il Telegraph: “L’inverno è arrivato”

La Premier scopre il patto di sindacato. In UK lo chiamano golpe: una riforma in cui 6 voti ne battono 14

Mentre in Italia siamo ancora alle baruffe da cortile per cercare di tenere in piedi il giocattolo del calcio nel pieno di una pandemia che non risparmia club e giocatori, in Inghilterra stanno ripensando tutto il sistema cercando di adattare “l’industria” del pallone britannico (la più ricca del pianeta) alla nuova situazione di crisi economica. Una vera e propria rivoluzione che prende il nome di “Project Big Picture”, un piano d’azione pervasivo e complicato per rivedere radicalmente la “piramide”, dalla Premier League alle serie minori, nel tentativo di salvaguardare queste ultime dal punto di vista economiche, “ricompensando” i top club con più peso decisionale. Per alcuni potere assoluto. Un piano che nasconde sviluppi politici che non sono passati inosservati alla stampa inglese. Alcuni l’hanno definita una “guerra civile” in atto nel football inglese, altri una “guerra nucleare”, i più morigerati “un colpo di stato” dei grandi club, i “big six”, una presa del potere definitiva.

Andando con ordine: cosa sta succedendo? I club dell’EFL, la Lega che organizza la serie B britannica (la Championship) e Lega Uno e Due (equivalenti più o meno a Serie C e D), hanno sentito la stretta finanziaria del lockdown, e invocano da tempo un’azione di salvataggio da parte della ricca Premier League un ente indipendente collegato alle serie inferiori solo dal merito sportivo, promozioni e retrocessioni.

Un documento “segreto” di 18 pagine, svelato dal Telegraph, prevede una serie di proposte di ampio respiro, che si occupano un po’ di tutto, dalla riorganizzazione del campionato alla riduzione dei prezzi dei biglietti. Il cuore controverso del piano prevede l’immediato pagamento ai club della Football League di 250 milioni di sterline per coprire le voragini aperte dalla pandemia, nonché l’istituzione di un fondo cumulativo di 100 milioni di sterline per la Federazione per coprire le successive perdite. La Premier League verrebbe ridotta a 18 squadre, con l’abbandono del Community Shield e della Carabao Cup (la Coppa di Lega), e con una rimodulazione del sistema di play-off.

Ma sopratutto – che è il vero nodo – verrebbe distrutto il principio di parità di diritto di voto nella massima serie. Il piano garantirebbe più peso ai nove club “storici” della Premier. In realtà un sei più tre: ovvero Liverpool, Manchester United, Chelsea, Arsenal, Tottenham e Manchester City, più Southampton, West Ham ed Everton. Per approvare qualsiasi decisione, resta la maggioranza qualificata di 14 voti. Ma c’è una novità che è il nodo chiave: basteranno anche sei voti del club dei nove. Viene meno così il concetto di uguaglianza. Basterebbero sei voti per approvare una modifica, anche se la maggioranza è fosse contraria. Una sorta di patto di sindacato. Uno non vale affatto uno, per dirla col povero Casaleggio.

I sei club (più tre) acquisterebbero così un potere enorme su questioni chiave, tra cui il veto ai potenziali nuovi proprietari di altri club della Premier League, la scelta del CEO della Premier League, la distribuzione degli introiti dai diritti tv, nonché le regole di concorrenza.

A lungo termine, le finanze dell’EFL verrebbero potenziate da un nuovo modo di condividere il reddito della Premier League, che attualmente incassano il 92% dei ricavi distribuibili. Questi scenderebbero al 75%, con il 25% redistribuito all’EFL. Si tratta, per dirla in soldoni, della vendita del proprio peso politico e decisionale ai top club.

Il sistema di retrocessione della Premier vedrebbe le ultime due squadre retrocesse automaticamente e le prime due del campionato promosse. La terzultima si giocherebbe uno spareggione a quattro con la terza, la quarta e la quinta classificata della Championship.

La questione è politica, e ha investito anche il governo. Allo stato attuale, qualsiasi modifica ai regolamenti della Premier League richiede quattordici voti o più in un sistema che prevede un voto per ogni membro. I sei top club, scrive The Athletic,  credono di meritare più potere al tavolo perché generano la maggior parte delle entrate e del fascino del calcio inglese. Ma gli altri 14 club perché dovrebbero votare per una rivoluzione contraria ai propri interessi? Tra l’altro uno dei timori è che concentrare il potere di voto nelle mani di un ristretto gruppo di club possa portarli in un secondo momento a rinnegare le stesse promesse di solidarietà che sono alla base del progetto che li porterebbe al potere.

Secondo i più critici il piano prevede un “hostile takeover, un’acquistizione ostile. Un golpe.

Chi c’è dietro? Chi sono gli ispiratori? Per i media britannici i nomi sono chiari: Joel Glazer, co-proprietario del Manchester United, John W. Henry, il principale investitore del Liverpool. E poi il presidente del Chelsea Bruce Buck. Ma soprattutto il presidente dell’EFL Parry, ex CEO della Premier League che lavora a questa idea dal lontano 1995.

La proposta suggerisce anche un tetto salariale rigido per Championship, Lega Uno e Lega Due, e le società sarebbero costrette a rispettare le regole del Fair Play finanziario in stile UEFA. Sono previsti anche “vantaggi” concessi – se così si può dire – ai piccoli club: ad esempio le squadre di Premier League potrebbero dare in prestito fino quindici giocatori contemporaneamente, con un massimo di quattro giocatori allo stesso club.

Ora la battaglia si combatterà sulla scena pubblica. Il governo conservatore ha già espresso la sua opposizione senza mezzi termini. Durissimi i commenti dei più autorevoli giornali inglesi.

Il Telegraph, ad esempio, scrive che

ci sono alcune idee apparentemente buone per addolcire la pillola avvelenata che regalerebbe il controllo del calcio inglese a un piccolo numero di grandi club. Un  vero e proprio cartello. Si tratta di un’acquisizione ostile travestita da salvataggio.

E anche sul meccanismo di redistribuzione c’è più di un rilievo:

“i grandi club otterranno senza dubbio di più dato il metodo di distribuzione, mentre l’idea che il piano ridistribuirà i soldi in modo più equo è una sciocchezza visto che sono i soldi di altri club che si propongono di dare via. I “Big Six” non pescano nelle proprie tasche”.

Questo piano uccide tutto, danneggia il prodotto e, quindi, i ricavi futuri. Elimina anche le possibilità del Leicester City di vincere il campionato o addirittura di entrare in Europa. Può sembrare che aiuti l’EFL, ma renderà quasi impossibile per club come Wolverhampton Wanderers e Leeds United essere promossi. L’EFL potrebbe ottenere più soldi, ma che fine faranno i suoi club? Non è un piano di salvataggio. È un’acquisizione anticoncorrenziale nata dall’interesse personale“.

La chiosa richiama Il Trono di spade: “Winter is coming”, l’inverno sta arrivando. “Eppure non ce lo aspettavamo del tutto”.

Sulla stessa linea l’editoriale del Daily Mail, che descrive il piano come “una disgustosa presa del potere” da parte dei grandi club.

Il Guardian invece va controcorrente, e spiega che “il piano non dovrebbe essere spazzato via dal tavolo”.

“Ci sono, indubbiamente, alcuni elementi egoistici nel loro prospetto, ma di gran lunga il più significativo è la proposta che la Premier League condivida un 25% netto dei suoi futuri accordi televisivi con la Football League inglese e fornisca immediatamente 250 milioni di sterline per aiutare i 72 club EFL in piena crisi finanziaria”.

Il Guardian definisce “bizzarra” l’accoglienza negativa, soprattutto da parte del governo.

L’EFL ha avuto un buco di 250 milioni di sterline e che molti club devono affrontare la rovina. Steve Parish, presidente del Crystal Palace, ha recentemente sostenuto che “i club della Premier League vengono ingiustamente chiamati in causa” e che non dovrebbero condividere i loro guadagni. “Nessun altro settore chiede alle aziende di salvare i concorrenti”, ha scritto Parish sul Sunday Times.”I supermercati non devono prendersi la briga di aiutare i piccoli negozi all’angolo”.

Secondo il Guardian questo progetto supera esattamente questo tipo di spaccature.

Lo United e il Liverpool vogliono un calendario più libero per avere più partite di Champions League, cosa che accadrà comunque a partire dal 2024, quando la competizione dell’Uefa sarà inevitabilmente ampliata. Insistono che le loro proposte non sono uno sforzo per impossessarsi di più soldi, ma è probabile che altri club della Premier League otterranno meno. Il che renderà più difficile per le concorrenti entrare tra i primi sei della classifica.  Quindi, giustamente, dovrebbe esserci una battaglia sui dettagli di queste proposte. Ma il cuore del piano non dovrebbe essere spazzato via dal tavolo”.

 

ilnapolista © riproduzione riservata