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All’ottavo anno è il Napoli di Insigne. È il Napoli-a-giro

Ha passato indenne i cazziatoni di Cavani, ha imparato la fatica da Benitez, è sopravvissuto ad Ancelotti. Ora il Napoli è fatto a sua immagine e somiglianza. E ora non ci sono più scuse

All’ottavo anno è il Napoli di Insigne. È il Napoli-a-giro

Da quando Gattuso ha messo la mattonella di Insigne al centro del villaggio, è successo un po’ di tutto. La Juve di Sarri ha vinto lo scudetto, il mondo s’è fermato per una pandemia, e la cronaca nell’inseguire gli altri indizi dell’apocalisse imminente ha intercettato anche un paio di invasioni di locuste e una pioggia di rane. Ma Lorenzo Insigne sta lì, e domenica fanno 8 anni.

Il mondo che non s’era fermato mai un momento, prima di bloccarsi del tutto in primavera fa perno su pochi centimetri quadrati di stabilità quasi estatica: il posto di Insigne nel Napoli. E mai come stavolta è un luogo di pace e tranquillità. In cui arriva un pallone, lo si stoppa, ci si accentra e si tiraggiro verso la porta nella speranza che diventi un “golaggiro“. Avviene una volta ogni mille minuti. Basta aspettare.

Il Napoli 2020 è – arrivati alla ottava stagione di una serie ormai tendente all’infinito – il Napoli d’Insigne. Talmente tanto che non ce ne accorgiamo più. E’ un dato di fatto. Meno d’un anno fa Ancelotti lo teneva in tribuna a Genk, e quell’alone di normalità, di scalfibilità, alimentava un vecchio tormentone: il “caso Insigne“, abbondantemente risolto più volte nel corso della sua carriera azzurra. Perdonato per buona condotta così spesso che ormai la sanificazione delle polemiche, per lui, è diventata un tic.

Ora ci ritroviamo all’esordio in campionato con tutti i paradigmi e le premesse saltate, a (s)ragionare di formazioni e moduli con moltissimi dubbi. E con altre certezze: quelle di Insigne.

L’ha esplicitato pochi giorni fa il suo agente, Vincenzo Pisacane:

“Lorenzo sta molto bene, è tranquillo, pensa che stia nascendo un Napoli forte”.

Non esistono più le valutazioni (sballate) del mercato, non esistono più le “sirene” dall’estero, è venuta a mancare pure la voglia di darne una nuova veste tattica. E i cambi ricorrenti, e la precarietà del posto. Tutto passato. Insigne a dieci anni dall’esordio ufficiale (24 gennaio 2010, Livorno-Napoli) è una statua in mezzo al San Paolo. Immutata e immodificabile. Chi c’ha provato, ha perso il posto.

Ha attraversato i cazziatoni egoistici di Cavani, l’ombra del record di Higuain, le staffette con Mertens, gli equilibri di Benitez, e i rimbrotti a mezzo stampa di Sarri. S’è preso tutti i fischi che i napoletani avevano in corpo, e – per quanto la retorica del napoletano re di Napoli ci abbia ammorbato ad ogni singola crepa della sua storia – s’è infilato in una spaccatura quasi filosofica: c’era ancora, fino ad un attimo fa, chi lo amava tantissimo e chi lo odiava di più. Ad oggi, con le ambizioni anestetizzate da questi mesi complicatissimi, il problema Insigne non c’è più.

Sembra ieri che Benitez se lo prendeva a bottega, assegnandogli la fascia sinistra per insegnargli una “fatica”. I napoletani gliel’avrebbero rinfacciato fino all’addio quel millantato discredito di talento: “ma come… lo fa giocare terzino, gli fa fare il difensore”. Insigne stava imparando un mestiere che dopo gli avrebbe garantito la titolarità anche a scapito di talenti esplosivi. Mertens, tipo. “Eh, ma Insigne difende meglio”, eccepivano al bar gli stessi che un attimo prima ce l’avevano col “panzone” colpevole di tanto spreco tattico.

E si fa una certa fatica a riavvolgere il nastro dei bronci ad ogni sostituzione mal digerita, degli sfoghi per interposta persona (il fratello, il papà…), delle volte in cui ha chiesto scusa dopo aver mandato il pallone in curva perché tirare dritto per dritto no! Aggiro, bisogna. Con l’effetto.

Lo stesso Insigne che il 26 agosto del 2012 al Renzo Barbera di Palermo gioca sessanta minuti prendendosi la maglia del Napoli per la prima volta davvero, torna in campo il 20 settembre 2020 con una premessa tutta inedita: non ci sono più scuse, né ostacoli, né malevoli, né concorrenza. Il Napoli alla scoperta di Osimhen è il Napoli d’Insigne. Il Napoli che non parla più di scudetto perché fa brutto, un trauma irrisolto, è il Napoli d’Insigne. Il Napoli che tutti ci ostiniamo a battezzare “di Gattuso” è invece il Napoli d’Insigne.

Non temessimo di portar male lo chiameremmo il Napoli-a-giro. Magari stavolta gira bene.

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