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Stavolta il papocchio arbitrale va persino oltre la sempre privilegiata Juve

Solo per Nicchi il problema non esiste. Regole sbagliate, arbitri scarsi: siamo ben oltre “la sudditanza psicologica” anche se la Juve si salva sempre

Stavolta il papocchio arbitrale va persino oltre la sempre privilegiata Juve

Al quattordicesimo anno di terapia, il sistema ha infine fatto pace con l’ineluttabilità della combo Juve-arbitri. Calciopoli, anno 2006, ha soffiato per anni sulle coscienze e i rancori dei tifosi italiani, tutti. Risolvendosi in una frana di sassolini. Nel 2020, dopo – anzi, durante – una pandemia che doveva lasciare migliori i sopravvissuti, siamo piantati nella stessa palude: il rigore, il fallo di mani, il sospetto, il rinfaccio. E’ cambiato qualcosa, però. E no: non è la Juve.

Quello è un binomio inscindibile: l’errore arbitrale e la Juve, la polemica e la Juve, l’arringa difensiva di Nicchi e la Juve. E non sono manie di persecuzioni trentennali, quando la patologia diventa tradizione. È che proprio il papocchio regolamentare e la sua applicazione “ottusa” sono fatti della stessa sostanza del potere politico bianconero. È tutta una grande posa, reiterata negli anni. Anche loro, gli juventini, ormai ne rispondono stancamente, con una dovizia di retorica battuta solo dagli sbadigli di chi ancora ci presta attenzione.

Però, dicevamo, c’è stato un aggiornamento di sistema. L’utilizzo della macchina Var da parte dell’uomo Var non ha estirpato la radice del male: l’interpretazione non sopravvive al sospetto e non se ne esce mai. Ma poi, in aggiunta, sono arrivate la regola del fallo di mani in area e l’ottusità notarile con la quale gli arbitri italiani la applicano. In un crescendo di cui lo stesso Rossini si sarebbe vergognato si è giunti ai due rigori “a termini di regolamento” contro l’Atalanta che hanno vidimato il nono scudetto di fila della Juve.

Il polverone s’è gonfiato fino a superare il vecchio steccato della narrazione anni 80 e 90. E’ rimasto forse solo Feltri (in prima pagina su Libero, oggi) a raccontare un’Italia in cui la “ricca” Juventus calpesta i diritti della “povera” Atalanta, misconoscendo evidentemente le ricchezze da emirato italiano della famiglia Percassi. È una dialettica superata, quella. Però, restando ai fatti: quei due rigori in rapida e risolutiva successione li hanno fischiati alla Juve, a parti invertite chissà cosa sarebbe successo. Il beneficio del dubbio è un esercizio che nel caso bianconero è andato in prescrizione, appunto, nel 2006.

Il contesto ora è diverso. A detta di chiunque non è più solo una questione che riguarda la “sudditanza psicologica”. Riguarda proprio il funzionamento del gioco. Come dire, oltre la Juve c’è di più.

Gasperini, che non è proprio il primo degli anti-juventini al mondo, a caldo è andato in tv a segnalare che “succede solo in Italia, è che non solo la regola del fallo di mani il problema, ma la sua interpretazione”.

La risposta puntuale di Nicchi – quando si parla di Juve, il capo dell’Aia deve avere attivato le notifiche sul cellulare – va ovviamente nel senso opposto:

“L’arbitraggio di Juve-Atalanta è stato all’altezza. Ciò che non è discutibile è la giustezza dell’applicazione. A Gasperini voglio dire che in Italia non esistono regole diverse che vengono applicate in modo differente. Non siamo un paese a sé stante con un regolamento a suo piacimento. Né tantomeno è vero che qui si danno rigori in modo spropositatamente diverso dagli altri paesi”.

Nicchi è lo stesso che facendosi ufficio stampa Juve rispose a muso duro a Commisso, quando il patron della Fiorentina definì “porcherie” due rigori concessi ai bianconeri: “Sono gli arbitri ad essere disgustati”. Come vi permettete di insinuare, marrani?

Per dirvi del caos, nel pomeriggio i tifosi bianconeri avevano incendiato i social all’annullamento (assurdo) del gol del vantaggio del Sassuolo sulla Lazio: “è uno schifo, vogliono favorire la Lazio”. Giusto 3-4 ore prima della doppietta arbitrale a favore della Juve. Botta e risposta, una poltiglia di posizioni contrastanti prodotta, di nuovo, dall’applicazione supponente di regole sbagliate da parte di arbitri scarsi.

Non è più solo il fallo di mani in area – che presuppone la nascita di una nuova razza di giocatori simil-bigliardino, senza braccia – o la sacralità del trattamento “speciale” riservato alla Juve, ora la questione è il trauma che il calcio (italiano) si è auto-procurato, come scrive Angelo Carotenuto sul Corriere dello Sport. Figlio di “un gigantesco malinteso che pretende si possano fissare criteri di oggettività per un gesto nel quale è decisiva la volontarietà. Per inseguire questa utopia, nelle aree di rigore il calcio ha inflitto a se stesso un trauma. Ha scoperto che l’applicazione di una regola non era più sinonimo di giustizia. Ha ingoiato con un episodio dietro l’altro una presunta oggettività a volte grottesca, raggiungendo il risultato di una perdita di credibilità per gli arbitri, per la Var, per il sistema”.

Nel mentre la categoria arbitrale si dedica con un certo profitto all’arte dell’autoassoluzione, assistiamo ad un miracolo: la catastrofe regolamentare ha ingoiato pure il primato Juve e la relativa elaborazione del lutto. 14 anni dopo Calciopoli, è un problema di tutti.

 

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