ilNapolista

Panatta: «Al Parioli dissi: “gioco per voi ma voglio la Gilera 125: avevo 16 anni»

A La Stampa: «Mio padre si svenò per il mio primo motorino. Con la motonautica ho due record mondiali. Trattai da solo con Superga, firmai un contratto da 100 milioni»

Panatta: «Al Parioli dissi: “gioco per voi ma voglio la Gilera 125: avevo 16 anni»

La Stampa intervista Adriano Panatta alla vigilia del suo 70esimo compleanno. Racconta il suo passato, gli anni ’50.

«Vivevamo al Parioli, mi ricordo il pizzetto del maestro Moretti, la nevicata del ’56. Non sapevo di vivere nel Dopoguerra: me ne accorsi quando al Campo Parioli tolsero le baracche degli sfollati per farci il Villaggio Olimpico. Demolirono il vecchio Stadio Torino, dove mio nonno Pasquale era custode, per costruirci il Flaminio. I 200 metri di Berruti li vidi in diretta tv».

E continua:

«Mai detto in vita mia: “ai miei tempi…”. Non è giusto, né elegante. Avevamo meno esigenze, questo sì. Quando uscivi i genitori ti davano un gettone: “se hai bisogno, chiama”, altro che telefonino. Gli spostamenti erano complicati. Negli Anni ’60 ci trasferimmo all’Eur. Moderno, bellissimo, però ogni giorno dovevo farmi 20 chilometri in bici per andare a giocare al Parioli. Belli i sette colli, ma se devi pedalare… Poi mio padre mi comprò il velosolex e mi sentivo il re del mondo. Giravo con il sole, la pioggia, i giornali sotto la maglietta per proteggermi dal vento».

Racconta di quando il padre gli comprò la prima moto.

«Tormentai mio padre perché volevo un Mondial 50, che costava quasi quanto un suo stipendio. Aveva quattro soldi in banca, e risparmiava per farci fare le vacanze – evidentemente non ho preso da lui… – ma me lo comprò. Una cosa che mi ha segnato per sempre».

Una vita passata tra il tennis e i motori.

«Il tennista l’ho fatto per 15 anni, il motonauta per 25, con due record del mondo di velocità e un mondiale endurance. Ho corso anche in macchina, fatto i raid nel deserto. Al Parioli dissi: continuo a giocare per voi ma in regalo voglio la Gilera 125: avevo compiuto 16 anni. La mia racchetta era la Maxima, ma al vecchio signor Pietra, che era un po’ tirato, per rinnovare il contratto chiesi di passare alla Dunlop, che lui distribuiva in Italia, e un milione. Lo spesi per comprami un’Alfa Gt junior, bianca, usata. E ci andai subito a Formia».

Poi la chiamata alla Pirelli.

«Un giorno mi chiama la Pirelli, vado a Torino, da solo. Sede megagalattica, uffici enormi. L’amministratore delegato mi spiega che vogliono fare una scarpa Superga con il mio nome, mi chiede se ho una richiesta. ‘Sì: 100 milioni’. ‘Ma lo sa – mi fa – che io ne guadagno 36?’. ‘E lei lo sa che io tiro le palle sulle righe?’. Ha firmato».

Racconta gli anni ’70, con il terrorismo ma anche imbevuti di creatività e il suo rapporto con la politica. Panatta è stato consigliere e assessore comunale allo sport.

«Mi ha insegnato la difficoltà di governare. Oggi ci sono solo alleanze che durano poco, io vorrei una politica sociale pensata per i ceti meno abbienti. E una battaglia comune contro la burocrazia, il vero male dell’Italia. Quello che mi piace, e mi fa arrabbiare, è che ci divertiamo a complicare le cose, però se serve il ponte di Genova lo costruiamo in un anno».

Sugli italiani:

«Un popolo meraviglioso. Poi mi infurio quando vedo gli scemi che ballano e cantano senza mascherine. Non userei il lanciafiamme di De Luca, che pure mi ha fatto sorridere, ma l’idrante sì. Siamo un paese pieno di eccellenze, che a volte spreca il suo talento».

 

 

 

ilnapolista © riproduzione riservata