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Dal lanciafiamme al liquidator, il catenaccio elettorale di De Luca in difesa dei tifosi del Napoli

Elogia la difesa di Gattuso e usa la stessa tattica perdonando la festa-bolgia per la Coppa Italia. In periodo elettorale il calcio è intoccabile

Dal lanciafiamme al liquidator, il catenaccio elettorale di De Luca in difesa dei tifosi del Napoli

Vincenzo De Luca è stato per mesi il Chuck Norris dell’Italia in lockdown. Mandante di se stesso ed esecutore in proprio della politica del lanciafiamme. Contro le feste di laurea, i battesimi, i runner cinghialoni. Ha ricaricato il suo credito popolare decuplicandolo nell’applicazione scientifica dei metodi da sceriffo. Nell’emergenza sanitaria, e nelle incertezze del governo, ha trovato un campo d’azione politica quasi sgombro: l’ha conquistato a forza di tormentoni ed ordinanze. Poi d’un tratto è arrivato il Napoli.

Un’intera città è scesa in piazza, per le strade, con i caroselli anni 80, per festeggiare la Coppa Italia. Stracciando il protocollo, il distanziamento sociale, e tutta la barricata lessicale erta a protezione della trincea del consenso. E’ stato un attimo. Il Paese ammirava interdetto e si chiedeva: “E mo i lanciafiamme?”. E’ il riflesso condizionato del cittadino campano, un stress post-traumatico: il timore che ogni passo falso corrispondesse alla cazziata del governatore. Funziona così, quando hai 5 anni e fai le marachelle. Uguale. Solo che stavolta, dopo una giornata intera di silenzio, la montagna ha partorito un topolino:

“La festa è finita, ragazzi. Ora torniamo nei ranghi e dimostriamo senso di responsabilità”.

Il lanciafiamme invece che trasformarsi – per rispettare le proporzioni dell’assembramento fuorilegge – in una salva di RPG – s’è ridotto a un liquidator, una pistola ad acqua.

Certo l’ha motivata, questa reazione a salve. Modulando la risposta sull’assist del “somaro” Salvini. Ha dettato il titolo che farà ombra al resto (“Salvini ha la faccia come il suo fondoschiena, peraltro usurato”). Ma il senso resta: è una tattica. Si chiama catenaccio. E non è solo “la Bocconi del calcio”, è anche e soprattutto l’Harvard della politica: difendere i voti. E i voti, a Napoli, li porta il Napoli. I tifosi del Napoli, in campagna elettorale sono un fattore sensibile, sono intoccabili. Altro che lanciafiamme.

Non per altro De Luca ha sottolineato la bellezza degli schemi di Gattuso. La cosa – se a Gattuso fregasse qualcosa delle imminenti elezioni regionali – potrebbe essere vicendevole.

“Novanta minuti di barricate, poi al 91′ una pappina nella porta avversaria, non c’è godimento più grande”.

De Luca parla di calcio, certo. Ma parla anche di sé. E parla alla sua base. Lo fa da campione del mondo di comunicazione: ogni punto settimanale su Facebook sono almeno tre titoli buoni, e migliaia di cuoricini sui social. E lo fa “alla Gattuso”: vendi il 4-3-3, il ricordo dello scintillio del gioco di Sarri, e poi installi una falange armata davanti alla porta. Allo stesso modo De Luca ha attaccato e continua a farlo, per poi piazzare una barriera a doppio strato davanti alla sua porta. Il gol, alle urne, funziona così.

Gli argomenti sono aderenti al piano, le visioni coincidono, viene quasi facile: la difesa della città, dell’orgoglio identitario sotto attacco degli sciacalli forestieri, i razzisti. Non a torto, peraltro: “se noi chiudevamo quando altrove bevevano e ballavano” ora da che pulpito cala l’indignazione? Dalla “movida scapigliata”?

Rispettando la metafora pallonara, questo si chiama contropiede. “La pappina al 91′”, il “godimento più grande”.

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