L’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio: «Il sistema calcio paga 1,2 miliardi di euro di tasse. Le istituzioni devono salvaguardare le competizioni»
Dopo il dietrofront di Spadafora di oggi arrivano anche le dichiarazioni su Facebook di Simone Valente, Cinque Stelle (quindi stesso partito del ministro Spadafora), ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Le sue parole lasciano intendere che ci si avvia verso la ripresa del campionato
Il dibattito sulla ripresa del campionato di calcio a cui stiamo assistendo da qualche settimana può essere eccessivo, inopportuno per certi versi, visto il momento drammatico che sta vivendo il Paese con migliaia di morti e milioni di persone in difficoltà economiche. Quando si parla di calcio in Italia, il dibattito s’infiamma, fa parte della cultura del nostro Paese. Può piacere o meno, si può essere tifosi di calcio oppure no, ma un dato deve sempre esser tenuto a mente: il calcio professionistico è un’industria e come tale va trattata.
Un’industria che genera spettacolo e intrattenimento e che vale il 7% del PIL italiano, dando lavoro a oltre 120mila persone. Per questo il calcio rappresenta un asset fondamentale del Sistema Paese italiano, a livello sportivo, economico e sociale. Voglio concentrarmi sull’aspetto economico, ragionando nella maniera più laica possibile, perché è quello che forse in tutte queste settimane è emerso poco e che è strettamente collegato alla tenuta del sistema sportivo italiano, soprattutto a quello di base. Il calcio professionistico incide da solo per il 70% del contributo fiscale complessivo generato dal comparto sportivo italiano. Nel 2016 la contribuzione fiscale e previdenziale aggregata del calcio professionistico ha sfiorato gli 1,2 miliardi di euro. Tutti soldi che entrano nelle casse dello Stato e che ritornano allo sport, a tutti gli sport. Fatte queste premesse, voglio evidenziare due punti.
Per primo, penso che l’impegno delle istituzioni debba andare nella direzione di salvaguardare per interno il sistema sportivo, calcio professionistico compreso, cercando di non far fallire neanche una società, che essa sia quotata in borsa o di natura dilettantistica, salvaguardando il più possibile ogni posto di lavoro. E non parlo dei calciatori che guadagnano milioni di euro (e su questo si potrebbe aprire un dibattito infinito sull’etica o sulla competitività in campo internazionale) ma delle migliaia di lavoratori facenti parte delle società e del loro indotto i quali non possono permettersi di non ricevere lo stipendio per 4 o 5 mesi. Dobbiamo evitare che si generi un effetto a valanga dove, se soffre chi sta in alto, soffre, ovviamente, anche chi sta in basso. E penso a tutte le società dilettantistiche e ai settori giovanili.
Il secondo punto riguarda l’approccio allo sport e al movimento: sport professionistico (in questo caso calcio professionistico) e sport dilettantistico (quello chiamato “di base”) non sono antagonisti, non possono esserlo. Demonizzare l’uno in favore dell’altro significa non aver conoscenza del settore o non esser onesti intellettualmente. L’uno è funzionale all’altro: se il professionismo genera un valore economico, questo valore viene usato anche per sostenere tutto il movimento sottostante. E il movimento di base, quello fatto di bambini e ragazzi, forse un domani, in pochissimi casi, fornirà i campioni per la nostra nazionale. Ma è significativo che il numero di atleti che passano al professionismo sia molto limitato, perché, per il mio personale modo di vedere, sport e movimento devono essere praticati per ben più importanti fini sociali e preventivi.
Il senso della riforma dello sport, che l’attuale Governo ha ereditato dal passato, e che ricordo il Movimento 5 Stelle ha fortemente voluto, è proprio quello di cui ho scritto sopra: aver distinto Sport e Salute s.p.a., una società dello Stato che deve dare massima attenzione allo sport di base, dal CONI che vede occuparsi di preparazione olimpica per far competere il nostro Paese ai massimi vertici mondiali. Due società funzionali l’una all’atra che devono dialogare in maniera costante e costruttiva, ma con obiettivi differenti.
In questa fase, soffiare sulla contrapposizione tra calcio e sport di base, tra chi nel Paese tifa calcio e chi non lo segue, ponendoli costantemente in conflitto, diventa solo un atto estremamente divisivo di cui il Paese non ha bisogno.
Il mio auspicio è che il prima possibile riprendano tutte le competizioni sportive, non solo il campionato di calcio, qualora si possano garantire tutte le condizioni di sicurezza per gli atleti e gli staff. Come spero che quanto prima possano riaprire palestre, centri fitness, piscine e attività sportive che si svolgono in mare o sui laghi.
Il Governo deve lavorare per questo, eliminando ogni possibilità che si possano determinare categorie più tutelate di altre e che lo sport riparta come sta ripartendo il Paese”.