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Ditelo che la Serie A è una pagliacciata, sarete più credibili

Con una incredibile decisione last-minute si premia la Juventus, si rinviano 5 partite a maggio, e si fa carta straccia della regolarità del campionato, delle decisioni del governo, e della coerenza

Ditelo che la Serie A è una pagliacciata, sarete più credibili

Una settimana a formulare l’emergenza, appesi a decreti caldi di firma, riunioni su riunioni, file di ospiti in tv, con e senza mascherina. Una settimana per decidere che le “porte chiuse” erano la soluzione per non fermare il calcio italiano per epidemia. Sbarrare gli stadi nelle “zone rosse”, lasciar parlare il campo. Nel silenzio triste dello sport senza pubblico, e amen. Una settimana finita in barzelletta, a due ore dalla prima partita del weekend: Lazio-Bologna.

Ha vinto la Juventus, ha trionfato. Ha lavorato sottotraccia perché il derby d’Italia non si giocasse. E ha ottenuto il rinvio last-minute ruminando stancamente la retorica del calcio che “appartiene ai tifosi”. Trascinando al 13 maggio – cioè tra due mesi e mezzo, a giochi presumibilmente fatti – altre quattro partite, come se niente fosse. Udinese-Fiorentina, Parma-Spal, Milan-Genoa e Sassuolo-Brescia, ridotte a inutili appendici di Juventus-Inter. Come se le esigenze in ballo riguardassero solo la dirigenza bianconera, l’incasso eventualmente da rimborsare, e non un intricato guazzabuglio di ordinanze locali e nazionali, scelte politiche dettate dalla confusione e dall’opportunità, incoerenze paradossali.

Un intero campionato falsato in maniera sfacciata, senza nemmeno l’accortezza delle buone maniere, con un tempismo da organizzazione del calcetto aziendale. Appena giovedì la Lega di Serie A, la Federcalcio e a rimorchio il governo chiedono, scelgono e comunicano che le cinque partite in zone a rischio contagio si sarebbero giocate a porte chiuse. Tre giorni dopo le decisioni delle istituzioni sono carta straccia: salta tutto, con implicazioni sottovalutate in un avvilente silenzio generale.

Tanto per cominciare il principio: si ufficializza che il calcio non è uno sport, nel quale lo svolgimento della competizione sarebbe il protagonista anche a dispetto del pubblico che lo segue. No, da oggi il calcio non può funzionare senza pubblico. Se nessuno assiste, non c’è gara. E’ uno spettacolo, con precise gerarchie socioeconomiche. Decide per tutti la Juventus, le altre contano meno, a piramide. Ed è incredibile che l’unica voce contro che si alzi nelle prime ore post-rinvio sia quella di Liverani, l’allenatore del piccolo Lecce:

“Come al solito in Italia si prendono alcune decisioni senza senso e logica, ritorna alla luce il lato oscuro del calcio che abbiamo provato a ripulire. Una decisione del genere tutela solo quelle quattro-cinque squadre che hanno interessi in gioco”

Poi le tempistiche: la comunicazione del governo arriva a decreto non ancora firmato dal Presidente del Consiglio, giovedì sera mentre Inter e Ludogorets si stanno giocando un match di Europa League a San Siro, a porte chiuse. Nello stesso stadio dove domani invece Milan-Genoa non si potrà giocare. Hanno avuto sette giorni di tempo per evitare i rinvii last-minute della giornata precedente, quando almeno sussisteva l’alibi della psicosi incombente. Uno sperpero di tempo e credibilità culminati nella decisione di pancia, espressa, di sabato mattina. Venduta come tale, nell’interesse dei cittadini. E il prossimo weekend? Perché mica è finita qui…

La logica, anche a livello sanitario, ne esce a pezzi: si decide che non si può giocare a San Siro, a Torino, a Parma, a Udine, a Reggio Emilia. Ma i tifosi dell’Atalanta possono andare in trasferta a Lecce, o quelli del Torino a Napoli, come se nulla fosse. Nel frattempo, colmo dei colmi, La Stampa (quotidiano fisiologicamente ben informato sulla Juve) scrive che Juve-Milan, mercoledì sera, Coppa Italia, si giocherà molto probabilmente a porte aperte, ma solo per i residenti in Piemonte. Nello stesso stadio in cui oggi non è possibile giocare. Due sono le cose: o la Coppa Italia non conta ai fini della sanità pubblica, o i piemontesi, in quanto tali, sono immuni al coronavirus. Ma solo il mercoledì.

Il rinvio al 13 maggio di un match scudetto tra Juventus e Inter, per tacere dei destini delle altre otto squadre coinvolte, non cambia niente ai fini del campionato? La squadra di Sarri e quella di Conte in che condizioni – di classifica e di forma – arriveranno a metà maggio? E quanto sarà diverso il contesto rispetto al 1 marzo? Maurizio Crosetti scrive che:

“Il campionato a porte chiuse è brutto, orribile, ma un campionato senza una vera classifica è peggio. Fino a metà maggio quella classifica non la conosceremo, sarà un esercizio teorico di ipotesi, tra le squadre (non solo di testa) esisterà sempre una zona di distacco, positivo o negativo, non colmabile. Quanti punti “veri” ha la Juve? Quanti l’Inter? Chi è in testa? Una cosa mai vista, un pasticcio inedito”.

La Juve deve aver rimosso che giusto venti anni fa perse uno scudetto, per il rinvio di un’ora appena, nella pioggia di Perugia. Vinse la Lazio, era il maggio del 2000.

Nell’ultima settimana ci siamo accollati un bonus pornografico di retorica spinta sul senso di responsabilità, sulla univocità delle scelte, sulla serietà. Ci avevano detto che l’immagine dello stadio vuoto è brutta da esportare, è una pessima figura, veicola nel mondo un Paese impaurito. Quanto vale al conteggio dei danni d’immagine quest’ultima pagliacciata? Ve lo diciamo noi: tre soldi, come la Serie A.

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