ilNapolista

Le 10 cose che ricorderemo di Sassuolo-Napoli

De Laurentiis sul prato prima del via e la mischia finale stile rugby per festeggiare intorno a Gattuso. Lassù qualcuno ci ama

Le 10 cose che ricorderemo di Sassuolo-Napoli

Uno. Il presidente a bordo campo. La strategia della vicinanza continua. De Laurentiis si fa vedere a Castel Volturno, spende parole rassicuranti alla cena di Natale, va in trasferta quasi da dirigente accompagnatore, trovando a Reggio Emilia la maniera di parlare con Carnevali, forse ancora di Politano, dopo un paio d’anni.

Due. Dalla curva alle spalle di Meret, occupata dagli ultrà del Napoli, si alza subito un grido che il vuoto cosmico dello stadio amplifica, dilata e distorce. Loro cantano: “Vogliamo gente che lotta” e in giro si capisce “Vogliamo James Pallotta”.

Tre. Al minuto 4. Quando Mario Rui ha già salvato sulla linea con un colpo di testa, tocca a Meret la prima parata in angolo su tiro dal limite nato da un pallone perso in palleggio da Fabián Ruiz. Sembra l’annuncio di una malaserata. (In realtà a fine partita i due napoletani con più palloni toccati saranno Mario Rui e Di Lorenzo, praticamente come contro il Liverpool al San Paolo).

Quattro. Il gol subito. Prima del pallone in rete, c’è la mossa di De Zerbi che sposta Traoré sul lato di Mario Rui, invertendone la posizione con Boga. Boga per natura cerca il dribbling, ma contro il dribbling Rui sa dove andare a cercare risorse. Traoré invece è cervello da inserimenti fini. Quelli che spesso Mario Rui fa fatica a leggere in maniera preventiva. Com’è e come non è, dopo una serpentina di Boga fra sei o sette coppie di gambe,  segna Traoré da quel lato li. Come lo vogliamo chiamare? (Per inciso – Traoré sarebbe da comprare stasera: ogni volta che tocca la palla fa succedere qualcosa).

Cinque. Sono passati due minuti dal gol subito e Manolas regala un pallone sulla tre quarti.  Denuncia uno sperpetuo al quale pare non esserci rimedio. Mette a nudo soprattutto una squadra che non ha le gambe per arrivare in tempo sulla palla né per resistere a scatti e serpentine, non ha la lucidità per cercare una linea esatta. Sembra una di quelle squadre che si esibiscono al 20 di luglio perché devono e non se ne può fare a meno. Con le gambe piene di fatica per la preparazione.

Sei. Nel celebrare il decennale del suo ultimo tiro in porta di collo pieno, al minuto 48 Insigne cerca un colpetto di mezza punta, mezzo esterno, non si sa, un tiro incompiuto, senza pretese, un tiro che rischia di trasformarsi in un’occasione seria quando Pegolo si trova a terra, costretto a respingere con un piede in angolo.

Sette. Minuto 57. Il gol di Allan. È la giocata che fa cominciare un’altra partita. L’Acido Lattico Football Club che è stato il Napoli fino a quel momento ritorna alla pari con gli avversari. Un po’ perché la testa restituisce energie quando le gambe non ne possiedono, un altro po’ perché il Sassuolo rallenta cominciando a sentire la stanchezza della partita di mercoledì.

Otto. Il rimpallo su Callejon. È il gol che il VAR annulla per fuorigioco ma a saperlo leggere come si deve, si tratta di una profezia. Annuncia che con un colpo di fortuna la partita spacciata si può addirittura vincere. (I passaggi chiavi di Callejon sono ritornati tre, sui suoi livelli).

Nove. Il tiro sul palo lontano cercato da Mertens. Il suo ingresso ha messo elettricità dentro il motore della squadra. Sa di avere 20 minuti di partita e li gioca a tutta. Tocca 9  volte il pallone e tira 3 volte in porta.

Dieci. La corsa di Insigne al 95’ verso la panchina. Dopo la carambola della vittoria, afferra Gattuso con tutto l’entusiasmo ritrovato e lo trascina in campo per un abbraccio collettivo stile mischiona di rugby. Lassù qualcuno ci ama.

ilnapolista © riproduzione riservata