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Del Napoli che voleva Ancelotti, non c’è traccia

Desiderava un calcio tecnico, verticale, con giocatori responsabilizzati. Non c’è nulla di tutto questo, ha sbagliato la valutazione di una rosa che ha importanti limiti di testa

Del Napoli che voleva Ancelotti, non c’è traccia

Il Napoli a metà strada

Aprire questa nuova analisi tattica citando testualmente il titolo dell’ultima analisi tattica pubblicata su queste pagine, quella relativa al match tra Napoli e Genoa, non è un modo per autocitarsi o per portare avanti considerazioni che sono già state espresse. Semplicemente, il Napoli visto a Milano è una squadra che, dal punto di vista strategico, ha smarrito la sua identità e non ne ha ancora trovata un’altra. Che è rimasta a metà tra ciò che è stata (con Sarri), tra ciò che era diventata e che doveva continuare a essere (con Ancelotti). Ora si è aggiunto un terzo lato a questo triangolo scaleno: nella ripresa di San Siro, il tecnico emiliano è tornato al 4-3-3 puro, cioè che scala in 4-5-1 in fase difensiva. Un cambiamento sostanziale rispetto al passato.

Solo una volta, contro il Torino, Ancelotti aveva provato a modificare realmente il sistema di gioco. Anche allora, era il 6 ottobre, il Napoli scese in campo con un 4-3-3 che si trasformava in 4-5-1 in fase difensiva. Ieri questa dinamica si è ripetuta nel secondo tempo, quando Mertens è entrato al posto di Callejón e ha determinato lo spostamento di Lozano sull’out destro.  Precedentemente, cioè nei primi 45′ di gioco e fino all’uscita dello spagnolo (59esimo), il Napoli aveva giocato la solita partita. Con le solite spaziature: 4-4-2 in fase difensiva e uno scaglionamento liquido in fase d’attacco. La novità – anche se questo termine è forzato, avevamo già visto questa dinamica in passato – era la possibile scalata di Allan come terzo difensore in fase di impostazione, così da tenere i due terzini sempre molto ampi e liberare i mezzi spazi a Callejón ed Elmas.

In alto, le posizioni medie del Napoli nel primo tempo del match contro il Milan: a sinistra in fase difensiva, a destra quella offensiva; sopra, invece, uno dei momenti in cui Allan è retrocesso a terzo centrale in fase di costruzione.

Con questo schieramento, il Napoli ha creato pochissimo: 4 conclusioni totali verso la porta di Donnarumma. Di queste, 2 fanno riferimento al gol (il tiro di Insigne respinto dalla traversa e la ribattuta di testa di Lozano). Gli altri 2 tentativi sono arrivati in contropiede (Callejón) e dopo un’azione che ha portato Insigne solo davanti alla porta. Proprio questa occasione spiega il perché di certe scelte da parte di Ancelotti: l’idea del tecnico azzurro è quella secondo cui il Napoli debba creare velocemente un’occasione da gol. Per velocemente, si intende entro pochi passaggi, attraverso pochi tocchi prima della conclusione. Magari subito dopo aver recuperato la palla. È un tipo di gioco che presuppone di sfruttare le qualità tecniche, atletiche (velocità) e mentali di giocatori con baricentro basso, cioè la maggior parte dei giocatori della rosa (Mertens, Insigne e Lozano in avanti, Zielinski a centrocampo, lo stesso Fabián Ruiz anche se ha una struttura fisica diversa).

L’occasione di Insigne

In quest’azione, Lozano apre letteralmente la difesa a quattro del Milan. Insigne legge lo spazio che si crea e viene servito perfettamente. Ecco, nella testa di Ancelotti il Napoli dovrebbe attaccare in questo modo, più o meno sempre. Quando invece parte da situazione statica, ovvero in costruzione bassa, deve (dovrebbe) passare attraverso un possesso palla verticale, che sfrutta la possibilità di andare sia in ampiezza che nei mezzi spazi – grazie allo scaglionamento che abbiamo visto sopra. E che vediamo anche in quest’altra immagine, sotto:

Zielinski ha impostato il gioco su uno dei centrali (Koulibaly), Allan è accanto a lui; Insigne gioca nel mezzo spazio di centrosinistra, Callejón è sull’altro versante; Elmas è in posizione di esterno, ma è Hysaj a garantire (maggiore ampiezza); Di Lorenzo fa la stessa cosa a destra, ma è fuori inquadratura

Il Napoli, quindi, è una squadra pensata e costruita per praticare un calcio tecnico e verticale. Anzi, diciamola meglio: verticale in ogni caso, nel senso che deve cercare velocemente i suoi uomini tra le linee (o sugli esterni) dopo la prima impostazione, in fase statica, e/o deve aggredire subito la difesa avversaria quando questa è in situazione di scompenso (in transizione, per esempio). È una strategia che, proprio per definizione, rinuncia a meccanismi di possesso e anzi lascia ampia libertà – creativa e interpretativa – ai giocatori.

Ed è proprio qui che fa difetto il Napoli. Nella partita di ieri, per esempio, la squadra di Ancelotti ha effettuato un solo dribbling in più del Milan (11-10). Discorso ancora più eloquente sui passaggi chiave: 12-6 per la squadra di Pioli. Sono cifre autoevidenti, molto basse, che mostrano come e perché si depotenzino (sul nascere) le scelte dell’allenatore. Che, ovviamente, è correo di aver valutato i giocatori del Napoli come elementi in grado di giocare in questo modo. Come spiegato anche in altri articoli di questa rubrica, il problema della squadra di Ancelotti è essenzialmente offensivo: anche ieri la difesa ha concesso poco o niente, il gol di Bonaventura (un’azione ben sviluppata e ben conclusa dal Milan, senza colpe tattiche e/o individuali evidenti da parte del Napoli) è arrivato grazie a uno dei 3 tiri in porta concessi al Milan in tutta la partita. Di questi, uno è stato tentato su calcio d’angolo (Romagnoli di testa nel primo tempo); un altro è stato scoccato da fuori area (Paquetà nella ripresa).

Il 4-3-3

Nella ripresa, come detto, Ancelotti ha scelto di passare al 4-3-3. Allan si è spostato nel ruolo di pivote davanti alla difesa, ai suoi lati c’erano Zielinski ed Elmas; il tridente offensivo è stato formato prima da Lozano, Mertens e Insigne, poi i cambi l’hanno portato a diventare Mertens, Llorente e Younes. Si è determinata una situazione nuova in fase difensiva – l’unica in cui il Napoli si dispone realmente con il 4-4-2 –, con una linea di cinque uomini davanti alla difesa a quattro.

4-5-1 in fase di non possesso

I risultati di questo cambiamento sono stati minimi. O meglio: il Napoli si è mosso in maniera diversa, soprattutto Elmas e Zielinski hanno avuto maggiore libertà di movimento e di sovrapporsi internamente ed esternamente, però la manovra non è sembrata più fluida e/o più pericolosa. Anche i dati confermano questa sensazione: dal cambio di modulo a fine partita, il Napoli ha tirato per 6 volte verso la porta di Donnarumma. Solo che 5 di queste conclusioni sono arrivate tutte dopo il minuto 80′, quando il Milan era ormai privo di ogni velleità offensiva e il Napoli ha cercato un timido arrembaggio finale. E nessuna di queste è stata tentata al termine di un’azione realmente pulita, orchestrata con qualità.

Conclusioni

Come si è letto (tra le righe e non solo) in questa analisi, il Napoli continua a essere un progetto tatticamente incompiuto. La responsabilizzazione offensiva dei giocatori è (stata) una scelta chiara da parte di Ancelotti, per un certo periodo ha anche funzionato, ma oggi non sembra più quella giusta per questa squadra. Per questo gruppo di giocatori. Ovviamente, le contingenze hanno aggravato ulteriormente la situazione: lo stato mentale di alcuni elementi (Callejón su tutti, ieri) non è certamente brillante, e i rapporti interni percettibilmente precari fanno il resto; l’assenza di un terzino sinistro di ruolo, di un giocatore che possa quantomeno gestire il possesso con maggiore precisione rispetto a Hysaj, limita tantissimo le possibilità d’attacco in ampiezza – una delle caratteristiche su cui il Napoli è stato costruito.

Ci sono stati alcuni segnali di risveglio, ma è stata molto più evidente la mancanza di idee e/o di spunti. Per larghi tratti di Milan-Napoli, il gioco è stato lento, noioso e ripetitivo. La sensazione è che questa squadra necessiti di riferimenti fissi, è come se i giocatori di Ancelotti ne sentano così tanto la mancanza da essere certi e sicuri del proprio talento solo in un contesto che gli chieda di fare le cose che hanno già imparato – e che hanno fatto benissimo in passato. Hanno dimostrato di non saper andare oltre sé stessi, oltre questa crisi che si allunga, oltre le beghe con la società. Che, a sua volta, ha forzato la mano e ha scelto – di comune accordo con l’allenatore – di insistere troppo su un gruppo con dei limiti importanti. Non nel talento, forse. Nella testa, sicuramente.

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