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Dal Real alla favola Leicester, il calcio è una scienza: si vince con i big data

Dall’ordine dei rigori, alla previsione degl infortuni, ecco come la “Data Science” gestisce il pallone moderno

Dal Real alla favola Leicester, il calcio è una scienza: si vince con i big data

Moneyball è arrivato anche nel calcio. Solo che non ci hanno ancora fatto un film. La palla che è rotonda, il genio del fantasista, l’emozione di un calcio di rigore, sì, e poi? I “big data”. Numeri, statistiche, elaborazione dei dati. La scienza. Come nel baseball, ma senza Brad Pitt.

Si vince così, romanticismo a parte. In campo ci va la squadra, sugli spalti i tifosi, e nel sottoscala i nerd che decidono dove si tirano i rigori, in che ordine, come sviluppare gli allenamenti, e un sacco di altre cose. Così, coi numeri, si scrivono le leggende. O credete che la favola del Leicester sia, appunto, solo una favola? Babbo Natale non esiste, e il calcio “pane e salame” ha lasciato il posto a tavola ad un server insaziabile.

Lo spiega al quotidiano spagnolo ABC Ricardo Queralt, dottore in economia, condirettore del master in” Data Science” presso l’ Università di CUNEF con l’autore di «Alquimia, come i dati vengono trasformati in oro», Juan Manuel López Zafra.

Esempio: 28 maggio 2016, finale di Champions a San Siro tra Real Madrid e Atletico. Si va ai rigori. Gabi vince il sorteggio e sceglie di lasciare al Real il primo tiro. Errore: secondo uno studio approfondito della prestigiosa “London School of Economics”, le squadre che tirano per prime un rigore hanno il 60% di possibilità di vincere. Il Real queste statistiche le conosce bene, e infatti a Sergio Ramos è stato ordinato: se vinci il sorteggio, scegli di tirare per primo.

Il Real Madrid segna tutti i 5 rigori, e li tira tutti alla sinistra di Oblak.

“Non è stata una coincidenza”, dice Queralt. Il Real Madrid, sebbene cerchi di tenere tutto top secret, grazie ad un accordo con Microsoft ha a sua disposizione le ultime tecnologie e uno dei migliori staff di Data Science al mondo. In quel caso i “nerd” dei Blancos avevano già sentenziato: i rigori a Oblak si tirano lì. Detto, fatto, vinto.

“I dati sono arrivati ​​nel mondo del calcio per restarci ed essere sempre più importanti nel processo decisionale delle squadre. I club scelgono i giocatori anche attraverso i sistemi di Big Data. È la stessa cosa che l’NBA ha fatto per più di un decennio, sviluppando algoritmi di apprendimento automatico e mappatura digitale. O la NFL. O, appunto, il baseball americano. Non si fa niente per caso, persino i procuratori ormai posizionano e spostano i loro assistiti per ottenere contratti migliori in funzione dei dati che sviluppano”.

E’ il vero Grande Fratello, che raccoglie milioni di dati, in allenamento e in partita. Un tesoro che va sfruttato, e infatti è l’analisi scientifica che fa la differenza. Generare valore “sportivo” da una mole impressionante di conoscenza.

“La chiave sta in ciò che facciamo con i dati, in come li usiamo. Il segreto è crearsi un vantaggio con i dati che gestiamo ”, dice Kevin Colbert, direttore generale della Pittsburgh Steelers della NFL.

Ed è così che il Leicester ha costruito la grande impresa del 2016, con Ranieri in panchina.

Grazie a “Data Science” oggi una squadra di calcio può approfondire ogni singolo dettaglio delle prestazioni individuali e collettive. Dalla qualità del sonno ai livelli di affaticamento, alle distanze percorse, le velocità raggiunte, i tempi di reazione, le variazioni del ritmo, la superficie coperta in campo, quando e come tirare in porta o no, quando e come fare un tipo di passaggio o un altro, quanto lontano, con quale gamba… Metti tutto in un enorme pentolone e tiri fuori piani di allenamento personalizzati, cure specifiche disegnate sulle caratteristiche fisiche e psicologiche di ogni giocatore. “E soprattutto l’obiettivo numero uno, prevenire gli infortuni”, dice Queralt.

Eccolo, il Leicester. La squadra messa nelle mani di Ranieri nell’anno magico della conquista della Premier ha chiuso con una statistica di 275 giorni di giocatori infortunati, nel complesso. Per capirci: l’Arsenal, secondo in questa speciale classifica, quell’anno accumulò 1.137 giorni di infortuni in rosa. Certo, poi la fortuna entra sempre in gioco, ma il Leicester è dal 2008 che sviluppa una metodologia scientifica per valutare le prestazioni dei giocatori in funzione dell’abbattimento del numero di infortuni. E ancora oggi la priorità nella lettura dei numeri continua ad essere, “la gestione professionale delle circostanze di rischio”.

“Matt Reeves, responsabile dell’area fitness, – spiega ancora Queralt – sapeva che l’aumento della pressione sui giocatori era la chiave dell’aumento degli infortuni. Ha aperto la strada all’uso del metodo Nordbord per monitorare i tendini e determinare i carichi di allenamento, limitando così il rischio di lesioni da sovraccarico”.

La palla è ancora rotonda, sì. Ma quando rotola non lo fa a caso, non più.

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