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Dai video ai radar, il Grande Fratello Stadium chiude l’epoca della zona franca

Le prime sanzioni anche a Napoli. Non vale più il principio “è sempre stato così”. L’overdose di inciviltà si paga in termine di privacy

Dai video ai radar, il Grande Fratello Stadium chiude l’epoca della zona franca

A.I. ha delle iniziali perfette: potrebbe stare per Artificial Intelligence. Invece è solo il primo uomo a Napoli multato (166 euro e spiccioli) per essersi seduto sulle scale a guardare la partita. A Napoli. Al San Paolo. In curva. Beccato con la videosorveglianza in Napoli-Brescia dello scorso 29 settembre ad occupare “le vie di esodo, così come vietato al punto 21 lettera a. del regolamento d’uso dell’impianto San Paolo”. E con lui la Questura ha punito, tra Daspo e sanzioni amministrative, “condotte di scavalcamento”, lanci di bottigliette, l’arrampicata sulle balaustre, l’intralcio delle vie d’esodo, l’occupazione di posti non corrispondenti al biglietto, fino al possesso di “modica quantità di stupefacenti per uso personale”. Tutto grazie alla rete di 190 telecamere installata al San Paolo nel restyling per le Universiadi.
La distopia, da queste parti, è calata sulla realtà di colpo. La civiltà, roba da non crederci. Toccherà farci l’abitudine: il Grande Fratello Stadium, o per alcuni un invadente Stadio di Polizia. Ma il trend è questo, e non si torna indietro. Gabriele Gravina, il presidente Figc, oggi ha rilanciato in un’intervista a Repubblica:

“Esiste un radar passivo, in dotazione all’antiterrorismo, che capta con microfoni direzionali la provenienza di un rumore. Può scovare in diretta chi sta facendo un coro razzista. O anche ricostruire la traiettoria di un petardo. Bastano due pannelli per settore, il costo non è proibitivo, lo produce un’azienda italiana. C’è solo un ostacolo legato alla privacy, perché può ascoltare conversazioni private allo stadio, ma è uno strumento micidiale. Vogliamo coordinarci con il Viminale, contiamo di testarlo in Italia-Armenia a Palermo”.

Occhi e orecchie, dunque, nella zona più franca che c’è: lo stadio dove tutto è (era) concesso. Al San Paolo – che fa una certa fatica a scrollarsi di dosso la fama di impianto vecchio e sporco, quello dei “cessi inutilizzabili” – come già altrove: all’Allianz Stadium, casa della Juve, i microfoni direzionali a elevata sensibilità, che permettono di registrare e sezionare l’audio dagli spalti in modo da poter identificare con maggiore precisione la provenienza di cori o altre manifestazioni verbali, ci sono già.

E lo stesso Alessandro Formisano, Head of Operations and Sales & Marketing del Napoli, aveva presentato la stagione introducendo il nuovo sistema di videosorveglianza “che utilizza un riconoscimento facciale con parametro più alto, quello degli aeroporti, dando le immagini alla polizia”.

La questione, aveva giustamente sottolineato Formisano, è che i club sono responsabili di ciò che avviene sugli spalti durante la partita. E quindi si agisce di conseguenza:

“Tenere le scale libere non è per estetica, ma per un discorso funzionale per l’afflusso ed il deflusso, ma è un discorso di legge per postazioni di pronto soccorso, un certo numero di defibrillatori, medici. ecc. La macchina dei soccorsi deve funzionare bene, è un obbligo. Se non si riesce ad intervenire perché dei tifosi lo impediscono è roba da matti e roba da incivili. Ora il sistema di videosorveglianza è digitale col riconoscimento facciale, si può ricostruire tutto, ora prima di lanciare un petardo ci devono pensare su…”.

Ovviamente il controllo capillare in nome della sicurezza è un concetto pieno di grinze, anche legali. Non riguarda solo lo stadio. Lo scoglio è la privacy, prima di tutto, e non da oggi. Già nel 2005, con tecnologie molto diverse da quelle attualmente a disposizione, il Garante della Privacy aveva dovuto esprimersi. La videosorveglianza, scriveva, “rispetta i principi di liceità e necessità in ragione dei reiterati disordini e degli episodi di violenza verificatisi di recente. Proporzionata risulta, ad esempio, la conservazione delle immagini per non più di una settimana”. E che “anche le modalità di ripresa che consentono l’individuazione di singoli spettatori appaiono proporzionate e non eccedenti rispetto agli scopi prefissati”.

Dopo quasi 15 anni è cambiato tutto, ma evidentemente allo stadio non è cambiato niente: violenza, razzismo, infrazioni varie ed eventuali. E nel 2019 siamo qui a reputare “notizia” se un tifoso occupa le scale d’emergenza e viene punito. Il problema, al solito, è di contesto. I legali di A.I. per esempio hanno annunciato che presenteranno ricorso perché  “le scale, dopo i lavori di ammodernamento, non sono più delle vie di fuga essendo chiuse in alto da muro e balaustra”. E anche perché “i posti ‘formalmente’ assegnati in Curva non vengono rispettati e non vi è del personale addetto al quale rivolgersi, come invece accade in altri settori”.

È un momento “storico”, di passaggio: comportamenti dati per scontati che cambiano perché non più accettabili, con tutte le frizioni e gli scossoni che questo scatto d’educazione comporta. Il San Paolo, col vestito buono, è tornato a farsi amare dal pubblico: il rispetto della casa comune è partito come moto d’orgoglio dal basso. Basta mettersi in piedi e rovinare le poltroncine, ognuno al suo posto, magari seduti. Le multe, le sanzioni, la videosorveglianza, i radar “antiterrorismo” usati per riconoscere i razzisti, sono un freno doloroso alla cattiva condotta. “È sempre stato così” non è più una scusa. Lo Stadio del Grande Fratello è un po’ colpa nostra, in fondo.

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