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Troisi, Pesaola e quel filo che lega Napoli e Firenze

Il calcio è anche un viaggio per conoscere luoghi. Le similitudini tra le due città, sorvolando su quei tristi cori che ogni anno intonano su di noi

Troisi, Pesaola e quel filo che lega Napoli e Firenze

Un viaggio lungo una stagione

Il calcio è il più grande espediente per conoscere l’uomo.

Metti uno davanti alla tv o sulle gradinate di uno stadio ed osservalo mentre va in scena lo spettacolo sul tappeto verde; comprenderai della sua natura molto di più che dopo una conversazione lunga quattro ore al tavolino di un bar.

Il patto, non scritto, è semplice, a qualsiasi latitudine: amare visceralmente i propri colori, illudersi di poter prevedere e controllare quello che succede in campo, restare rapiti dalla bellezza armoniosa dei gesti tecnici, dalla velocità o dall’impeto tambureggiante di una serie di contrasti. Insomma, mostrarsi nudi, nettati di ogni etichetta o appartenenza di ceto, a sostenere idealmente con le proprie spalle gli sforzi degli undici in campo.

Una illusione, certo. Soprattutto in un mondo, quello attuale, in cui la polarizzazione del pensiero ha totalmente travolto ogni limite: e allora il calcio ed il tifo si sono incattiviti al punto che della goliardica presa in giro tra tifoseria non c’è più traccia, sostituita da un linguaggio d’odio che prescinde dalla partita e inficia ogni tentativo di convivenza pacifica.

Ma come opporsi a questa deriva? Non basterebbero trattati o conferenze, come non son bastate le commissioni d’inchiesta sul tifo violento, figurarsi una rubrica online. La realtà è che, come tutto ciò che è diffusamente percepito come ‘negativo’, la vera rivoluzione è nella testa: l’unico modo per sconfiggere la narrazione del nemico è mutare l’approccio, improntandolo sul ‘lato positivo’, sul bello della diversità e sull’opportunità che il calcio dà di conoscere nuove cose.

Ho imparato alcune cose dal calcio. Buona parte delle mie conoscenze dei luoghi in Gran Bretagna e in Europa non deriva dalla scuola, ma dalle partite fuori casa o dalle pagine sportive, e il fenomeno degli hooligan mi ha fornito sia un certo gusto per la sociologia che un certo grado di esperienza sul campo. Ho appreso il valore di investire tempo ed emozioni in cose che non sono io a controllare, e di appartenere a una comunità della quale condivido le aspirazioni in maniera totale e acritica.

N. Hornby – Febbre a 90’ 

Da quando il Napoli è stabilmente tornato ad alti livelli, a lottare per il titolo e a giocare competizioni europee, sono aumentate le possibilità di vedere gli azzurri calcare i più importanti palcoscenici calcistici: le trasferte, che nell’immaginario collettivo sono fatte di notti insonne passate in bus noleggiati o treni abbandonati da Dio diretti in irraggiungibili luoghi sconosciuti, in realtà negli ultimi anni hanno toccato tantissime città europee, aprendo le porte di templi del calcio a schiere di tifosi azzurri.

Immancabili i locali napoletani trapiantati, intervistati fuori gli stadi o gli alberghi dove risiedono gli azzurri, a raccontarci la loro vita da expat, tra coraggio, difficoltà, malinconie, successi e mancanza di casa. Così come irrinunciabili sono i siparietti con i tifosi ospitanti, spesso devoti alla buona educazione e alla xenìa molto di più di quanto ci si aspetterebbe.

Il calcio è condivisione, cultura e vissuti che si incrociano.

Ed ogni stagione che scandisce la vita dei tifosi è in realtà un grande viaggio, una avventura lunga una cinquantina di partite, la metà delle quali fuori dalla comfort zone del San Paolo.

Raccontare dei posti che tocchiamo grazie al Napoli, delle città e delle storie che si intrecciano tra passato e presente, può essere, forse, un buon metodo per provare a cambiare approccio nei confronti del calcio: senza dubbio è un esercizio soddisfacente per chi scrive, poiché, dinamicamente, appaga la curiosità e solletica la memoria, dal cui baule è sempre bene attingere.

Capitolo I – Firenze

Firenze è una città straordinaria. 

Non paragonabile, cioè, a molti altri posti al mondo. La bellezza della città toscana la rende, con tutta evidenza, uno dei centri nevralgici della storia dell’umanità tutta: un luogo dove, insieme alle meraviglie artistiche, si percepisce il respiro affannoso della Storia, che come l’Arno scorre lungo i meandri del tempo.

Un luogo unico, dove sembra d’esser sospesi nel tempo del Magnifico, di Leonardo, di Dante o di Michelangelo; un tale scrittore francese del diciottesimo secolo, uscito da Santa Croce, rimase talmente estasiato da rimanerne per un momento sopraffatto. È grazie a Firenze (e alla psicologa fiorentina Graziella Magherini), se oggi, di fronte all’esplosione visiva della meraviglia artistica, si parla della Sindrome di Stendhal.

Un biglietto da visita niente male, non c’è che dire.

I fiorentini, per usare un eufemismo, non fanno nulla per nascondere la loro soddisfazione nel vivere ‘nella città più bella del mondo’; e questa rivendicazione, assoluta ed orgogliosa, fa il paio con la spiccata vivacità tipica dei toscani, segnando il tratto tipico dei fiorentini, l’esser senza peli sulla lingua. O almeno, a me così son sempre apparsi così.

In un certo senso, gli abitanti di Firenze condividono con i napoletani la convinzione di essere, come direbbero gli inglesi, blessed: si intuisce, allora, il perché di qualche reciproca diffidenza, forse acuita proprio dal calcio.

Non mi va di parlare della pessima abitudine tutta italiana di nominare Napoli e i napoletani in senso spregiativo: non mi va nemmeno di sottolineare quanto stupidi possano essere quei soggetti che alla presentazione di un calciatore, piuttosto che inneggiare alla propria maglia, decidano di cantare “Odio Napoli”. 

E non mi va nemmeno di parlare del 29 aprile 2018 (questo per vari motivi); dico solo che non fu onorata al meglio la memoria del grande Astori, se dopo quel 3-0 che ci tolse uno scudetto già cucito, dalle platee del Franchi si alzarono cori inneggianti al Vesuvio. 

Non fanno onore ad un popolo e ad una città che, peraltro, hanno con Napoli, molti punti di contatto, anche forse inattesi: pochi, ad esempio, s’immaginano che l’attuale sindaco fiorentino, Dario Nardella, è in realtà un campano doc, originario di Torre del Greco, trapiantato nella città di Dante appena bambino.

E non tutti sanno che uno dei più grandi fautori della Firenze rinascimentale, il grande Leon Battista Alberti, architetto e dominus dell’umanesimo urbanistico, autore, tra le tante altre, della facciata della Basilica di Santa Maria Novella, è stato ispiratore e progettista di numerosi lavori alla corte aragonese di Napoli, compresa la Porta Trionfale di Castel Nuovo.

troisi pesaola

Come non pensare, poi, a Massimo Troisi, che fece di Firenze lo scenario perfetto per il suo cinema popolare e raffinato; ‘Ricomincio da Tre’ ne è la summa perfetta, perché capace di raccontare la profondità della valigia d’incoscienza dell’emigrante meridionale nel contesto di una città adatta a fare da discreta osservatrice e, al contempo, ammaliante padrona di casa.

La comicità toscana, con i suoi ritmi, i suoi picchi e l’esagerazione come cifra stilistica dei suoi caratteristi si amalgama alla perfezione con la lingua napoletana, melodica e cadenzata in un elogio alla malinconia di una pellicola degli anni ’80.

Dopo un video così, è naturale sottolineare quanto unisce piuttosto che ciò che divide le due città più belle del mondo e pure le due tifoserie; al gusto per il bello (voi Baggio, noi Diego, voi Bati-gol, noi Careca), al palato sopraffino per la cucina (bramo ancora la Finocchiona dell’Antico Vinaio a due passi dagli Uffizi), alle viste mozzafiato (che bella Fiorenza vista all’alba da Piazzale Michelangelo) e alla cultura (non saprei dove cominciare).

troisi pesaola

Per non parlare del Petisso Pesaola, iconico, a bordo campo, nel suo cappotto color cammello e con le sue sigarette accese, leggendario calciatore e allenatore azzurro e mister della Viola scudettata del 1969.

Una volta, fino a qualche tempo fa, avevamo in comune pure la rivalità con la Juventus: poi, dopo aver cominciato a cedergli i pezzi pregiati, la Fiesole ha cominciato a tifare perché le rivali bianconere affondassero. Speriamo che la ventata di entusiasmo del Paisà Commisso riporti l’orgoglio della storia al centro del progetto Viola: più Antognoni, meno Bernardeschi, capito Federico?

Ricominciamo dal Franchi, allora; una delle trasferte più belle. Speriamo che sia una grande partita, e che si torni alla vittoria sul campo. E che il Napoli abbia pure cambiato albergo rispetto a due anni fa (non si può mai sapere).

 

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