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Penso alla frigida e rancorosa tifoseria di Napoli e invidio l’entusiasmo di Milano

Ora che la stagione Sarri è davvero archiviata si capisce come Maurizio il tosco-bagnolese sia stato più furbo e manipolatore di quanto ci si immaginasse

Penso alla frigida e rancorosa tifoseria di Napoli e invidio l’entusiasmo di Milano

Ve lo devo confessare, c’è una cosa che invidio ai milanesi: l’entusiasmo. Quello spontaneo e ingenuo, quello innato, quello che ti rende incline all’esaltazione prima ancora che ci siano motivi oggettivi di esaltazione.

Una premessa è d’obbligo: mi sono trasferito a Milano alla fine del 2011. Quando, cioè, i due club cittadini stavano per avvitarsi ciascuno nel suo buio periodo di crisi. Nel giro di mesi dell’Inter del Triplete e del Milan da Champions sarebbe rimasto poco. Gli anni successivi avrebbero trasformato nella normalità campionati anonimi da settimo posto e in oro colato piazzamenti UEFA.

Eppure oggi, nell’estate del 2019, gli interisti salutano con 30mila abbonamenti il solo arrivo di Antonio Conte. Lukaku rimane una voce, Icardi è ancora un problema domestico, il ricordo del meschino girone di ritorno di Spalletti vivissimo: ma loro sono già partiti in quarta. Così come non aspettano molto per incendiarsi i milanisti. Sono stato al Meazza due volte in pochi giorni, lo scorso gennaio, per vedere il Napoli affrontare i rossoneri sia in campionato che in Coppa Italia. Ho visto nascere il mito Piatek in diretta: Higuain se n’era appena andato col suo bagaglio di delusioni e recriminazioni, ma il pubblico era già pronto a innamorarsi del polacco.

Ecco, invidio l’entusiasmo dei milanesi perché, intanto, la piazza napoletana si è votata a un sentimento diametralmente opposto. Rancorosa, recalcitrante, in una sola parola frigida, con scarsa libido. Non si gode niente, perché niente le va bene.

Adesso so che il riflesso pavloviano è quello di scaricare all’esterno le cause di tanta freddezza. Un fattore esterno che ha un nome preciso: De Laurentiis. Che non distende i toni; che non è capace di empatia; che non sa comunicare i suoi risultati e i suoi progetti; che è in guerra aperta con i gruppi delle curve, ma che non offre punti di incontro con la restante parte del pubblico. Tutte cose vere, di cui si è scritto sul Napolista nelle ultime settimane e negli ultimi mesi. E ci aggiungo che sicuramente incide la frustrazione del vedere uno dei Napoli più forti di sempre tenuto nell’angolo da una delle Juve più continue della storia.

Ok. Ma queste ragioni spiegano in parte, non del tutto, l’afasia napoletana. È facile controbattere che se i milanesi sono ancora capaci di accalorarsi dopo anni di Thohir, mr. Zang, mr. Lee, “Ora le cose formali”, il fondo Elliot e la fascia di capitano a Bonucci, dipende molto dalle risorse interne. Perché se si fossero attenuti al mero nesso di causa ed effetto tra cronaca socio-sportiva e sentimenti, i milanesi dovrebbero essere più incarogniti di noi.

Dobbiamo allora riconoscere che la piazza napoletana tutta (i tifosi organizzati, quelli che litigano sui social e nei bar, spesso i dirigenti, gli opinionisti, gli ex calciatori, i giornalisti, gli influencer) ha edificato negli anni un ecosistema di guerra e non di amore. Se sul campo non riusciamo più a vedere un’epica romantica (Spadetta docet) non è solo colpa dei mercenari e del calcio moderno, ma anche nostra, che abbiamo spento i centri del piacere. Ci trasciniamo in una litigiosità sedimentata, alla quale tutto si riferisce come nella lettura dei testi sacri: come ciascun brano biblico ha per i cristiani un senso nel più ampio significato evangelico, per i napoletani ogni bagattella si incornicia nel più grande schierarsi pro e contro.

D’altronde, anche il triennio sarriano rientra nel fenomeno. Il suo successo popolare si è basato tanto sulla bellezza del gioco espresso, quanto sulla sua capacità di essere l’ennesima allegoria del conflitto: Sarri era, a seconda dei punti di vista, il paladino degli oppressi contro la Juve e contro lo status quo capitalistico, ma di certo era per tutti un sindacalista interno alla SSCN da contrapporre a De Laurentiis.

Ora che la stagione Sarri è davvero archiviata, il tifo napoletano ha intrapreso un tortuoso percorso di auto-analisi collettiva. Non deve fare l’errore, già si intravede, di assolversi e proiettare ancora una volta all’esterno le cause dei suoi problemi. Sì, col senno di poi si capisce come Maurizio il tosco-bagnolese sia stato più furbo e manipolatore di quanto ci si immaginasse. Ma non è certo colpa sua se centinaia di migliaia di persone lo hanno caricato di una valorialità che lui fino all’estate del 2015 manco immaginava potesse accostarsi al suo nome. Se, come sostiene Guido Ruotolo, Sarri è stato un leader sovranista, dipende pure dalla circostanza che c’era una grande comunità già orientata al discorso populista.

Bene, lo scoramento è tanto e c’è bisogno di un nuovo equilibrio sentimentale. La saggezza consiglia di ripartire dalla massima di Soriano (mi pare): “Il calcio è fantasia, è un cartone animato per adulti”. Non sarebbe male riavvolgere il nastro e, con ingenuità infantile, semplicemente ripartire, come fanno gli interisti tutte le estati e come hanno fatto i milanisti con Piatek. Ma noi siamo napoletani, troppo furbi per seppellire l’ascia di guerra e così ostinati da trasformare il calcio in un eterno congresso di partito. Preferiamo vivere il calcio da adulti, ci diciamo, a schiena dritta. E infatti non ci divertiamo più. Ma è colpa di qualcun altro.

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