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Ancelotti a Napoli è la Hiroshima del papponismo

De Laurentiis stramba e prova a portare il Napoli su altri mercati, nel calcio che oggi conta. Decisamente in controtendenza con l’arroccamento della città

Ancelotti a Napoli è la Hiroshima del papponismo
La bomba Ancelotti, nel fotomontaggio di Fubi

Napoletanità, questa sconosciuta

L’arrivo di Carlo Ancelotti a Napoli, alla guida del Napoli, è la Hiroshima del papponismo. Questa è la frase roboante. Ma dietro quest’operazione c’è una frattura culturale, politico-economica, che non può non lasciare segni in città e nella tifoseria azzurra. Ancora una volta Aurelio De Laurentiis si conferma un imprenditore distante da quel che viene costantemente identificato con il corpaccione di Napoli, con questa presunta napoletanità che poi alla fine non si sa bene che cosa sia. E che viene sempre richiesta quando l’Italia vuole descrivere mediaticamente Napoli e i suoi abitanti.

Parliamo di un uomo che ha rilevato il Napoli in un Tribunale, sezione fallimentare, ormai quattordici anni fa, e passo dopo passo lo ha condotto in Serie A, in Europa League, in Champions League, ai vertici del calcio italiano ed europeo. Ma che viene additato da tanti tifosi come il male assoluto di questo club. A Napoli è chiamato pappone. Non dai ceti popolari, da tutti: funzionari, magistrati, avvocati, professionisti, tutti. Una città che fa fatica ad accettare l’idea di capitalismo, convinta che tutto le sia dovuto. Le è dovuto anche una squadra vincente, con giocatori forti ma con biglietti popolari per lo stadio e magliette non originali. Che tace sempre sul merito di De Laurentiis di tenere il Napoli lontano dalla camorra, si gira dall’altra parte.

Un cammino inverso a quello della città

Il Napoli ha percorso un cammino inversamente proporzionale a quello della città. Una città che si è via via sempre rinchiusa in sé stessa, a rimirarsi, a farsi i complimenti per la bellezza, la straordinarietà e soprattutto l’unicità. Un’immagine che non si ritrova negli indicatori di ricchezza, di benessere, di peso politico. Il Napoli di De Laurentiis non si è arroccato a Napoli. È uno dei motivi per cui suscita tanta avversione qui. Il Napoli è di Napoli ma non è di Napoli. Non ha una sede in città. Si allena a venti chilometri, a Castel Volturno. È un’azienda che è costantemente cresciuta: nei risultati, ma anche nella visibilità. Che sta provando a rendere continuo l’aumento di fatturato, che sta esplorando nuovi territori come la Cina.

L’ingaggio di Carlo Ancelotti – con uno stipendio importante per le casse del Napoli – non è altro che l’ennesima tappa di questo percorso. La tappa più importante, possiamo considerarlo uno spartiacque. Il primo avvenne con Benitez l’allenatore che ha posto le basi per questo Napoli, che ha allargato gli orizzonti fino all’acquisto di tre calciatori dal Real Madrid.

Uno schiaffo a Sarri

L’arrivo di Ancelotti è un’operazione meditata, programmata, che indirizza ancor di più il futuro del club. Perché arriva al termine di un triennio di risultati straordinari, soprattutto in Italia, con la guida di Maurizio Sarri. È certamente uno schiaffo all’atteggiamento di Sarri che ha completamente dimenticato di essere un dipendente del Calcio Napoli e ha preferito vestire i panni del capopopolo, si è messo alla guida del movimento di protesta nei confronti di De Laurentiis. Lo ha nutrito con le sue dichiarazioni, le sue allusioni. E poi con un finale di partita – parliamo della trattativa – davvero incomprensibile, autolesionistico. De Laurentiis ha risposto in maniera violenta, e con i fatti, al tentativo di Sarri di far apparire il Napoli come un club in ridimensionamento («Non arriveranno giocatori del Barcellona»). È finita con il paradosso che il progetto del Napoli sta stretto a Sarri ma non ad Ancelotti.  

Ma anche un’altra visione del calcio

Ma al netto del comportamento dell’allenatore, e dei dissapori tra i due (su cui ci soffermeremo ancora), la fine del rapporto con Sarri – decisa da Aurelio De Laurentiis – rappresenta il taglio con una determinata visione del calcio. E non parliamo di gioco, tattica, risultati. Sarri ha stabilito il record di punti in campionato, ha portato il Napoli a sfiorare realmente lo scudetto, ha garantito tre qualificazioni consecutive in Champions e ha valorizzato alcuni calciatori, su tutti Higuain. Insomma ha grandi meriti. Ma è anche l’allenatore che ha da sempre preferito il campionato all’Europa. Che ha dichiarato di averlo fatto per assecondare “i desideri del popolo”, non per raggiungere obiettivi stabiliti di comune accordo con la società. Che non ama l’idea di portare la squadra in tournée in Cina – o altrove all’estero – d’estate. È un signor allenatore di campo, uno dei più bravi, ma con una filosofia che non è quella del Napoli di De Laurentiis.

Agganciare altri mercati

Paradossalmente, hanno ragione coloro i quali si stanno disperando (ci sono eh). Il passaggio da Sarri ad Ancelotti è il passaggio da una visione a un’altra. De Laurentiis stramba e porta il Napoli in un altro circuito. Lo scudetto, il campionato, non sarà un’ossessione. Le grandissime squadre – il Napoli non lo è – vivono al di là dei risultati. Vivono di brand, come il Manchester United. Il Napoli non è a quel livello, ma la tendenza scelta è quella. I progetti di campionati europei o mondiali non sono così avveniristici, i campionati nazionali saranno sempre più irrilevanti. C’è una torta importante e De Laurentiis vuole agganciare quel mondo, vuol farsi trovare nelle prime file non ai margini. Perché così si va avanti. Quel che a Napoli viene definito papponismo, altrove sarebbe elogiato come ambizione imprenditoriale.

Il malumore della Gazzetta

Ancelotti è un grandissimo allenatore. Il migliore attualmente libero, uno dei primi cinque al mondo. Uno che ha ha allenato Milan, Chelsea, Psg, Real Madrid, Bayern. Che era secondo di Arrigo Sacchi ai Mondiali del 94. È un uomo immagine, noto in tutto il mondo calcistico (così come lo sarebbe Pirlo che potrebbe esserne il vice). È il tecnico che ha vinto più Champions di tutti, insieme a Paisley e in attesa di Zidane sabato. Per capire la portata di questa operazione basta leggere la Gazzetta dello Sport, o ascoltare ieri sera i commentatori a Sky Sport. Increduli, nella migliore delle ipotesi. La Gazzetta oggi trasudava contrarietà, e ci teniamo bassi. De Laurentiis trascina il Napoli fuori dai consueti binari cittadini. E c’è una parte, anche nutrita di tifosi, che non desidera questo processo. Lo ostracizzò già ai tempi di Benitez. E ha invece amato follemente Sarri, uomo in cui si è rispecchiata. Sarà ostracizzato anche Ancelotti, è fisiologico. C’è una Napoli che non si sente rappresentata da questo processo.

Si è arrivati a parlare di calcio identitario. Non sappiamo che cosa sia. Sappiamo che De Laurentiis sta lasciando tanti tifosi del Napoli a discutere di papponismo, a inveire contro di lui, e sta trasportando il Napoli in un’altra dimensione. Una dimensione in cui c’è anche la sua idea di stadio da 30-40mila spettatori. Forse sarebbe il caso che una parte di Napoli, della tifoseria, riflettesse sulla portata di quest’operazione. Siamo scettici, sappiamo che non avverrà. Ma non capire che con Ancelotti il movimento del papponismo è diventato obsoleto, fuori tempo, vuol dire non comprendere cosa sta avvenendo sotto i nostri occhi.

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