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Autostrade: il Morandi è crollato per la bobina caduta dal tir. Per la Procura no

Torna in scena la bobina. Mentre sembra sciogliersi il nodo del contratto unico, gli ultimi indagati continuano a fare scena muta davanti ai pm

Autostrade: il Morandi è crollato per la bobina caduta dal tir. Per la Procura no

Finalmente sui giornali di oggi alcune novità sull’inchiesta per il crollo del ponte Morandi.

Ieri, scrive Repubblica Genova, si è diffusa la voce che Giovanni Castellucci, ad di Autostrade, indagato, abbia annunciato al gip Angela Nutini di avere in preparazione una memoria difensiva firmata dai consulenti tecnici di Aspi, che sarà depositata nei prossimi giorni.

Torna in scena la bobina della Mcm

Sembra che i periti della società abbiano ipotizzato che la causa del crollo del viadotto sia la famosa maxi bobina in acciaio da 3 tonnellate e mezzo caduta sul ponte dal Tir della Mcm Autotrasporti in transito poco prima delle 11.36 del 14 agosto, guidato da Giovanni Lorenzetti, coinvolto nel crollo del Morandi ma rimasto miracolosamente illeso.

Della bobina parlò già a inizio novembre l’ingegnere Agostino Marioni, esperto di ponti, ex presidente della società Alga che nel 1993 si occupò dei lavori di rinforzo della pila 11 del viadotto. Ed è sempre Marioni a tornare sul punto, spiegando, scrive Repubblica Genova, che il peso della bobina avrebbe agito contro i piloni “come una cannonata”.

L’ingegnere dichiara – lo riporta l’edizione genovese di Repubblica – che in un primo momento aveva pensato che la causa del crollo fosse la corrosione degli stralli, poi “vedendo alcuni video, ho iniziato a ipotizzare che a far collassare il viadotto potesse essere stata l’eventuale caduta del rotolo di acciaio trasportato dal camion passato pochi secondi prima. Secondo i calcoli che ho fatto, se il tir, che viaggiava ad una velocità di circa 60 chilometri orari, avesse perso la bobina da 3,5 tonnellate, avrebbe sprigionato una forza dinamica pari a una cannonata. Verificarlo è semplice: basta controllare se sulla bobina ci sono tracce di asfalto”.

La Procura non concorda

I periti della Procura non concordano con quelli di Autostrade, scrive Il Secolo XIX, anzi, tendono ad escludere che la causa del crollo sia stata la bobina, “anche perché ad oggi non esistono prove che il rotolo si sia effettivamente staccato dal camion e sia precipitato sulla carreggiata del viadotto”. Anzi, già il 4 novembre scorso parlammo proprio del fatto che la bobina, a guardare i video esistenti, sembrerebbe non essersi mai sganciata dall’autoarticolato.

La stessa Mcm, scrive Repubblica Genova oggi (scrivemmo anche questo), ha assicurato che la bobina è rimasta ancorata. Uno dei titolari, Silvio Mazzarello, ha dichiarato che l’azienda è estranea alla vicenda e che “prima di esprimere pareri sarebbe necessario approfondire meglio quanto accaduto”.

Rischia dunque di scatenarsi, secondo il quotidiano genovese, “una vera e propria battaglia legale” sul punto, battaglia che vede impegnati in prima fila anche finanzieri diretti dai colonnelli Ivan Bixio e Giampaolo Lo Turco che hanno ricevuto mandato dai magistrati di cercare immagini o filmati che possano escludere il coinvolgimento del rotolo nel disastro.

Gli interrogatori: ancora scena muta

Intanto, si registra ancora un nulla di fatto nei nuovi interrogatori per la strage del Ponte Morandi. I testimoni convocati dai pm si sono nuovamente rifiutati di rispondere alle domande.

Nelle ultime ore si sono avvalsi della facoltà di non rispondere gli ultimi tre indagati nell’inchiesta: Roberto Ferrazza, provveditore alle Opere pubbliche di Liguria, Piemonte e Valle d’Aosta, Vincenzo Cinelli, capo della direzione generale del ministero delle Infrastrutture e Carmine Testa, capo dell’Ufficio ispettivo territoriale interrogati nei giorni scorsi.

Proprio Ferrazza, nelle ore successive al crollo, “aveva avuto un rigurgito di coscienza”, scrive Repubblica Genova presentandosi spontaneamente dagli inquirenti e dicendo che “anche la pila 10 era nelle medesime condizioni della 9” crollata e che “quindi le 260 abitazioni di via Porro erano in pericolo”. Ora, invece, è tornato a fare silenzio.

Con loro si sono chiusi gli interrogatori dei 21 indagati. Gli unici a aver risposto sono tre: Bruno Santoro, dirigente della prima a divisione del Mit, Giovanni Proietti, dirigente della quarta divisione del Mit e Mario Bergamo, ex direttore delle manutenzioni di Aspi.

Le trattative sul contratto unico

Torna in pista il contratto unico per i lavori di demolizione e ricostruzione del viadotto.

Ieri, al termine di un incontro di tre ore con le aziende coinvolte, il commissario Bucci ha parlato di una possibile soluzione di compromesso, ovvero un contratto unico ma con due raggruppamenti differenti, uno per i demolitori (Fagioli, Omini, Vernazza, Ipe Progetti e Ireos) ed uno per i costruttori (PerGenova, cordata formata da SaliniImpregilo e Fincantieri con il supporto progettuale di Italferr), in modo da separare le responsabilità dei soggetti coinvolti. Il coordinatore sarebbe PerGenova.

Il documento, che deve essere definito nei dettagli, dovrebbe essere sottoscritto il prossimo 18 gennaio.

I nodi da sciogliere riguardano soprattutto le penali previste per i ritardi, ma anche “i flussi di pagamento, le garanzie e l’influenza di eventuali situazioni esterne, come il procedimento penale aperto dalla Procura di Genova che potrebbe creare ritardi su demolizione e ricostruzione, in particolare del troncone Est (verso Genova) del viadotto, che è sotto sequestro”, scrive Il Sole 24 Ore.

Il nodo delle penali

Per quanto riguarda le penali, Il Secolo scrive che si sarebbe arrivati ad un primo accordo per una cifra compresa tra i 400 e i 500 mila euro per ogni giorno di ritardo in base all’importo dei lavori di ciascun soggetto (il progetto di demolizione vale 20 milioni, quello di ricostruzione 202).

Ricordiamo che, inizialmente, si parlava di un milione al giorno e che PerGenova, intenzionata a non accollarsi anche le responsabilità della demolizione, aveva proposto addirittura penali di 2 milioni al giorno.

Salini non ha commentato l’esito della riunione di ieri, in attesa della stesura definitiva del contratto.

Atlantia accelera sul rimpasto al vertice di Autostrade

Sarà definito la prossima settimana, scrive Il Sole 24 Ore, il nuovo assetto di governance di Autostrade. Atlantia, insomma, impone un’accelerata sul rimpasto al vertice della società dopo le dimissioni annunciate dall’ad Giovanni Castellucci e dal presidente Fabio Cerchiai.

Secondo le indiscrezioni riportate dal quotidiano, tra lunedì e martedì Castellucci incontrerà i soci di minoranza di Aspi (Allianz e Silk Road Fund) per condividere con loro la scelta, all’interno di una rosa ristretta, di chi dovrà assumere l’incarico di amministratore delegato e di chi dovrà sedere alla presidenza della società.

Allianz e Silk Road Fund, come previsto dagli accordi sottoscritti al momento del loro ingresso nel capitale della compagnia autostradale, hanno infatti diritto di “parola” sui cambiamenti al vertice. “Il gruppo assicurativo e il fondo cinese hanno complessivamente una quota attorno al 10% e hanno valutato l’intero asset 14,8 miliardi di euro – scrive Il Sole – L’investimento è dunque rilevante e hanno tutta l’intenzione di proteggerlo. Ecco perché il passaggio dei prossimi giorni sarà un test cruciale per il gruppo autostradale, anche in termini di tenuta della governance societaria”.

I nomi possibili

Veniamo ai nomi dei papabili. Per la carica di amministratore delegato si parla di Roberto Tomasi, nominato di recente direttore generale della compagnia autostradale, arrivato in Aspi nel 2015, scelto dal ceo di Atlantia. Quanto al presidente, invece, il nome verrà scelto all’interno di una ristretta cerchia di candidati, tutti esterni alla compagnia e in grado di rivestire un ruolo di garanzia.

Le nomine dovranno poi passare al vaglio dei cda, prima di quello di Aspi (sembra il 17 gennaio) e poi di quello di Atlantia (pare il 18).

Il camion telecomandato

Arriverà nelle prossime ore, scrive Il Secolo XIX, un camion che pesa 40 tonnellate e che, guidato da remoto, senza uomini a bordo, percorrerà più volte nelle due direzioni il moncone ovest del Morandi, quello che dovrà essere demolito per primo. Serve a verificare se il troncone può reggere il peso dei macchinari che serviranno per la demolizione.

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