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Se ai cori razzisti dei tifosi, i calciatori buttassero la palla fuori

La soluzione non può essere solo la repressione, manca cultura sportiva da parte dei club e di chi va in campo. Non è chiaro il turn over di Ancelotti

Se ai cori razzisti dei tifosi, i calciatori buttassero la palla fuori

Il ritmo della Juventus

Puntuale e scontato come il black friday è arrivato l’annuale arduo impegno casalingo con il Chievo. Passano gli anni, si succedono gli allenatori, cambiano gli schemi, ma i clivensi continuano, imperterriti, a metterci in difficoltà e toglierci punti, a dispetto dei valori in campo, della classifica e delle statistiche.

In un campionato normale uno stop casalingo costituirebbe un campanello d’allarme; nella Serie A dello stradominio Juventus equivale ad un addio prematuro alle ambizioni scudetto. Possiamo arrabbiarci quanto vogliamo per questo pareggio, ma la verità è che, se la prima in classifica non perde mai, diventa impossibile per chiunque starle dietro.

Nei 5 campionati maggiori d’Europa solo il PSG, che le ha vinte tutte in una competizione di livello molto inferiore, ha fatto meglio della Juventus (12 vittorie e un pareggio). Persino il Manchester City di Guardiola ha dovuto accontentarsi del pari due volte, mentre il Borussia Dortmund che guida la Bundesliga di pareggi ne ha fatti 3. In Spagna il Siviglia è al comando addirittura con due pari e tre sconfitte.

Trovarsi a meno otto punti dalla vetta dopo sole 13 giornate, a meno di tracolli bianconeri sempre possibili ma poco probabili, apre un altro campionato in cui, come dice Sconcerti, la corsa non si fa più sulla prima, ma sulla quinta, per assicurarsi un piazzamento Champions.

In questa corsa sono coinvolte, al momento, Napoli, Inter, Lazio e Milan, con la Roma più staccata ma ovviamente ancora non fuori dai giochi. Mentre Parma e Sassuolo non sembrano sufficientemente attrezzate.

È chiaro che una prospettiva di questo tipo fa guardare anche le coppe sotto una diversa prospettiva. Andare avanti in Champions può rendere positiva una stagione che si conclude con il terzo/quarto posto in campionato, un po’ com’è accaduto alla Roma l’anno scorso. La Coppa Italia, di converso, rimane l’unica possibilità per aggiungere qualcosa alla bacheca dei trofei.

Le rotazioni di Ancelotti

Impossibile dire quanto di tutto ciò abbia pervaso la mente (e quindi permeato lo stato d’animo, condizionandone l’approccio) di Ancelotti e dei giocatori. Ci sono indizi che porterebbero a pensare che un’opzione Champions sia stata già esercitata e che in quest’ottica si spiegherebbero alcune scelte di formazione, ma sarebbe un errore. Confesso di non aver capito ancora i meccanismi decisionali di Ancelotti e, di conseguenza, non riesco a trarre dalle singole scelte un’indicazione precisa sugli obiettivi stagionali. Mi fermo a quello che Carletto sostiene da quando è arrivato, ovvero che il suo obiettivo è rimanere in corsa su tutti i fronti per vedere, in primavera, come stiamo messi. Sicuramente non vedrei di buon occhio una preferenza per la coppa (semi cit.) esplicitata a novembre: la forza della Juventus dovrebbe costituire uno stimolo per il Napoli, non un alibi.

Insulti negli stadi

Saltando di palo in frasca, vorrei dire due parole sulla questione insulti negli stadi italiani.

Sul Napolista abbiamo ricostruito le tappe di un dibattito antico al quale l’impareggiabile Carletto ha saputo dare nuova linfa. Qualcosa si sta muovendo, non sappiamo ancora quanto ci sarà di concreto e lo potremo vedere solo nelle prossime giornate.
Un aspetto della vicenda merita un approfondimento: la responsabilità oggettiva.

Da molte parti autorevoli (Gravina, neo presidente della Figc in testa) si sostiene che sanzionare o penalizzare una società per il comportamento dei tifosi sia ingiusto.

Si tratta di un ragionamento che fila e al quale siamo abituati. La responsabilità penale, nel nostro ordinamento giuridico, è personale e nessuno troverebbe “giusto” punire, per esempio, un figlio per il comportamento del padre (ogni riferimento alla situazione politica è puramente casuale).

Ma è davvero così? Davvero i comportamenti delle tifoserie sono ultronei rispetto ai desiderata delle società e dei loro tesserati?

Se non è colpa di Allegri quando dalla curva juventina si levano cori razzisti, non c’è una forma di colpa nel sostenere, contro ogni buon senso, di non sentirli quei cori?

E quali iniziative vengono prese dalle società per alimentare una cultura sportiva diversa?
Continuare, ostentatamente e nella migliore delle ipotesi, ad ignorare il problema (perché è indubbiamente un problema) non significa almeno rendersi colpevoli di un’omissione? E l’omissione è un concetto che ben conosciamo anche sotto il profilo penale, per continuare il parallelo.

Si può discutere se il sistema repressivo (squalifiche e penalizzazioni) sia quello più efficace per trovare una soluzione, ma allora bisognerebbe portare una tesi alternativa.Ci provo io. Abbiamo ascoltato mille volte un giocatore o un allenatore dire che un determinato risultato è stato raggiunto grazie al sostegno del pubblico. Si potrebbe, senza cambiare le regole e senza repressione, provare ad invertire questo paradigma. Al primo coro razzista, discriminatorio, insultante, per esempio, i giocatori della squadra di casa potrebbero mettere la palla fuori. Sarebbe un atto rivoluzionario, significherebbe dire al pubblico “quando ci incitate giochiamo meglio, ma quando insultate, quando inneggiate ai vulcani e ai terremoti, quando emanate quegli odiosi buu razzisti, ci passa persino la voglia di giocare”. Impossibile? Io non credo. Si tratterebbe di una forma di rispetto, come quella che si osserva quando c’è un avversario a terra. Certo, bisognerebbe smetterla di far finta di non sentire.

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