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Noi expat napoletani per una sera padroni di Parigi

Al Parco dei Principi il Napoli di Ancelotti non gioca una partita ma imbastisce un seminario sull’esistenza. Su cosa vale la pena vivere

Noi expat napoletani per una sera padroni di Parigi

Non è una partita ma un seminario sull’esistenza

Il ventre parigino di questa splendida città viziosa ribolle di napoletani estirpati, espatriati, imbastarditi, pronti a trovare casa ovunque sia necessario. Poi ciascuno, straniero ormai ovunque, sente che casa non c’è se non sul campo di gioco, li senti sfilare verso le gradinate con l’accento del centro e della provincia e nessuno vive più a Napoli da anni, molti non ci sono neppure mai nati. Sono gli expat. Ma sono tutti sparsi al Parco dei Principi.

È chiaro dal primo minuto che siamo di fronte ad una nuova epifania metasportiva. Il calcio è solo un pretesto e la squadra di autentici prodi preparata dal Numero Uno in panchina contro il PSG anche stasera non giocherà una partita ma imbastirà un seminario sull’esistenza. Su cosa vale la pena vivere. Su serate che significano una stagione intera. Sul cosa è tempo che ci convinciamo di essere, mentre Maksimovic (quello mandato ad emigrare nelle lande putiniane lo scorso anno) ferma, coadiuvato da un ormai semidivino Koulibaly, una montagna di danari presi girati spesi reinvestiti e riversati senza requie dal Qatar sulla capitale francese, tutti infranti sul lavoro certosino di una nuova partita a scacchi avvenuta evidentemente nella testa di Carlo Ancelotti prima ancora che sul territorio di gioco.

Il gol di Insigne mi ha fatto tornare al gol di testa di Maradona al Milan

Il Napoli detta. Costringe. Decide. A sancire sono ragazzi spagnoli poco più che ventenni, sono portieri che si involano come missili e parano. A farci gridare l’anima è una palla carezzata da Insigne che pare non voglia entrare mai e, mentre rimbalza e pare stenti ad insaccarsi, siamo tutti di nuovo bambini per un attimo, io sono con mio padre al San Paolo e Maradona ha deciso di spizzarla di testa sul capo di Giovanni Galli e mortificare la porta del Milan di Sacchi. In quella squadra militava anche Ancelotti, che stasera si alza dalla panchina, richiama, dirige ma – è chiaro – si affida, delega, nei suoi ci crede. Lui ci crede davvero che si può vincere, ché la vita serve a provare a trionfare ed accettare tutte le volte che perderai. Ma senza vittoria vera, del peso dei trofei morali e dei record asfittici si muore.

Usciamo da quello stadio col petto gonfio. In metropolitana indossiamo ancora le (splendide) ultime maglie da gara. Siamo in piedi. Ad una fermata, due si alzano, ci cedono i loro posti e dicono: “Uagliù, noi scendiamo. Sedetevi voi. Perché chist se l’hanna fa a ppère”.

E noi ci sediamo volentieri. Ausländer. Étrangers. Stasera padroni.

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