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Il mio stadio ideale: senza occasionali e con i cancelli aperti solo al fischio finale

Ho un debole per le partite vissute nello stadio “con ampi vuoti”, insieme a pochi intimi. Cosa mi sarei perso negli anni lasciando il San Paolo anzitempo

Il mio stadio ideale: senza occasionali e con i cancelli aperti solo al fischio finale

L’Homo occasionalis

Premetto: da quarant’anni e passa considero l’abbonamento un po’ come il servizio di fornitura idrica o elettrica in casa, ossia non immagino di poterne fare a meno. Dunque, ammetto di essere un caso limite. E, forse per questo, non riesco a non pensare che un certo tipo di dissenso, sia pure sporadico (come quello riferibile alla penultima frazione dell’ultimo Napoli Chievo) si manifesti, soprattutto, in presenza di schiere nutrite di tifosi, per così dire, “occasionali”. Senza voler essere tacciati di snobismo (nel migliore dei casi) o di razzismo (nel peggiore) trovo che l’Homo occasionalis ceda spesso a tentazioni di protagonismo e risulti qualche volta debordante, quasi a voler compensare, attraverso l’eccesso esteriore e nel bene come nel male, una reale deficienza di familiarità con il contesto. L’Homo abitualis, invece, è decisamente più affidabile.

Le gradinate vuote mi piacciono, sanno di intimità

Personalmente ho un debole per le partite vissute nello stadio “con ampi vuoti”, insieme a pochi intimi. Non per una tendenza poetica alla malinconia né per timore delle folle, ma perché sono quelle le occasioni in cui sento di essere circondato da veri compagni di fede. E la cosa mi conforta.

Mi ostino a considerare il San Paolo profondamente diverso dal San Carlo: lì si va per scelta consapevole, sulla base del programma proposto; qui si va per altri motivi, che col piacere pure hanno a che fare, si capisce, ma con la ragione no. D’altra parte, se dipendesse solo dalla ragione, cosa ci farebbe precipitare in uno stadio zozzo, vecchio e nel quale, per sapere cosa succeda nell’area dall’altra parte, conviene telefonare agli amici che sono davanti alla tv?

Lo stadio da quarantamila posti, per quanto conti un’opinione personale e singola, non sarebbe affatto una bestemmia. Distillerebbe e restituirebbe il cuore del tifo, con inevitabili benefici sulla classifica e sull’atmosfera.

Trent’anni fa o giù di lì, dopo un pareggio sontuoso, ricordo di avere caracollato come il Gabibbo, ubriaco di felicità, tra i gradoni dello stadio di Monaco per toccare quasi Il Nennillo e forse persino Carannante. Se mi dessero lo stadio adatto, a misura d’uomo, bello e pulito, lo rifarei oggi stesso, senza vergogna. Anzi, con orgoglio.

Cosa mi sarei perso negli anni se fossi uscito prima

Nel mio stadio ideale, ai cancelli d’ingresso chiederei di installare un dispositivo capace di bloccare le fughe di chiunque (salvo casi gravi e conclamati) considerasse superfluo attendere il fatidico triplice fischio. Uscire prima non si fa, pare brutto, porta male. E poi, io lo dico per voi, spettatori improvvidi e incontinenti; per esperienza diretta. Pensate a cosa mi sarei perso, in quarant’anni e passa, uscendo dallo stadio a tempo indebito: un gol di Braglia contro il Cagliari, per esempio, e un rigore di Tesser, contro l’Ascoli; CruzCruzCruz di testa contro la Lazio, l’indomito Scarlato in rimonta sul Foggia e giù giù fino a Diawara. Quel Diawara che, in uno stadio più piccolo e facile, avrei volentieri inseguito, ieri, per tutti i cinquanta metri della sua folle magnifica corsa. Ubriaco di gioia, ché questa ubriachezza non fa male.

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