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Hengeller: «Fare il napoletano non deve essere una professione»

Bella intervista del musicista napoletano a Repubblica: «Sorrentino, come Pino Daniele, è post-napoletano». Parla anche dei ragazzi, lui che insegna al Casanova: «Devono vederti un alieno; più sei distante, più ti seguono»

Hengeller: «Fare il napoletano non deve essere una professione»
Lorenzo Hengeller

Pianista, compositore, cantautore. Una vita musicale tra jazz e swing. Lorenzo Hengeller, 48 anni, napoletano, sta lavorando al un nuovo album che registrerà a Roma in aprile. Ha fornito qualche anticipazione in una bella intervista all’edizione napoletana di Repubblica, firmata da Ilaria Urbani, la trovate qui 

«I ragazzi hanno la vita on demand»

Una chiacchierata in cui Hengeller regala anche un paio di passaggi interessanti su Napoli e il rapporto tra città, artisti e identità. Risposte allacciate alle domande sulle necessità dei ragazzi napoletani. Il musicista è anche docente di lettere all’Istituto Casanova. Le sue parole sono affatto banali:

In questi quindici anni ho capito che non hanno bisogno di vedere un amico che sia ammiccante – spiega – questi ragazzi devono vedere un ‘alieno’, qualcuno distante da loro: più sei distante e più li puoi portare dove vuoi nella conoscenza. Perché vogliono essere tutti uguali. Nelle famiglie e tra gli amici è tutto uguale: simile al vuoto, ma se tu rappresenti altro con la bellezza e la letteratura ti vedono diverso e ti seguono. Hanno bisogno di complessità, hanno già la semplicità vuota, hanno la madre che gli mette il piatto in tavola, il cellulare, i “like”, ma gli manca il resto…”. Ma c’è anche dell’altro, secondo il musicista-insegnante. “Hanno la vita “on demand”. Se mi deludi? “Ti prendo, ti lascio e ti cancello”. Navigano a vista. Oltre alla complessità manca chi si spenda per loro, chi li guarda negli occhi e gli chieda: ‘Cosa stai veramente desiderando?’.

«Non è la città che dà l’identità alle persone»  

Da qui le riflessioni sulla città e gli artisti. «Si cercano spiegazioni sempre nell’identità – dichiara Hengeller – ma non è la città che dà l’identità alle persone e neanche all’artista. Da sempre è il contrario: i grandi danno l’identità alla città. Oggi mancano le idee, e molti si identificano con la città. Gli artisti, per esempio: alcuni credono di essere tali solo perché sono napoletani”.

Gli esempi? Continua Hengeller: «Aldo Masullo dice: “Napoli non conosce l’andamento dritto, ma solo in alto o in basso”. Lo dimostra anche il Napoli di Sarri: a noi serve la comunità che lavora, non solo un Maradona. Anche Riccardo Muti è napoletano ma dice: io sono famoso per il rigore. Tra l’altro ho studiato nel suo stesso liceo, il Vittorio Emanuele II. E Paolo Sorrentino? Non lo dice mai, non lo sbandiera, ma è più napoletano di tanti altri. Come Pino Daniele. È post-napoletano. Fare il napoletano non deve essere una professione. Questo vale nella musica, come nella vita”.

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